Scesi le scale del bar. Dentro al locale l’aria era calda e asfissiante. Il gin nel mio bicchiere dondolava con me sulle scale. Il barista, dietro al bancone, scrutava con discrezione i movimenti di tutti, anche i miei. Mi sedetti al tavolo accanto all’entrata. Lui si avvicinò e prima di porgermi il sottobicchiere diede una pulita al mio tavolo passandoci sopra uno straccio.
Poi si rivolse a me: “Non si preoccupi. Stia su. Era solo una che aveva voglia di perdere del tempo”. “Scusi?”
“La ragazza bionda sulle scale, vi ho visti. Stia su.”
“Non è niente, sto bene.”
“Quella è la Carlotta. Fa sempre così. Ti gira intorno e poi ti lascia a pancia vuota. Giusto?”
“Sì, è andata più o meno così.”
“Lo fa con tutti, non se la prenda a male.”
“Non me la sto prendendo a male. ”
“Però ha l’aria di non divertirsi.”
“Forse perché è così, ma non è importante.”
“Forse lo è.”
“Forse.”
“Alla fine avete deciso dove far brillare la bomba?”
“Quindi sa chi sono?”
“Questa è una città piccola. Fa parte della squadra di artificieri. Lei è qua per la bomba a Po.”
“Sì, sono qua per questo.”
“E avete deciso dove farla esplodere?”
“Nelle campagne, a pochi chilometri da qui.”
“Ed è preoccupato?”
“Di cosa?”
“Di disinnescare una bomba. È pericoloso, no?”
“Lo è. Lo potrebbe essere, diciamo.”
“Che lavoro che ha. Mica facile. C’è da vivere sempre preoccupati.”
Che lavoro che ho, pensai, c’è da vivere preoccupati. Come tutti, forse.
“Non è che serva granché preoccuparsi. In questo lavoro, soprattutto, ma anche per gli altri.”
“Siamo sempre tutti preoccupati.”
“Già. È che la preoccupazione credo non cambi un bel niente. Capisce?”
Fece un cenno di assenso.
“È più una roba di essere concentrati, di stare concentrati. La preoccupazione, tanto, non la fai mai fuori davvero. La rimandi solo indietro. Se uno è in gamba ci riesce. E poi lei torna, ancora, e tu devi essere di nuovo concentrato. E così via. ”
Annuiva soddisfatto con una mano appoggiata sul fianco. Pensai che stessi straparlando e mi imposi di fermarmi.
“Parlo troppo. Ora la lascio lavorare. Grazie del consiglio.”
“Si figuri. Va bene il gin?”
“Non c’è male. Ho solo aspettato troppo e il ghiaccio si è sciolto quasi del tutto.”
“Ne prendo dell’altro.”
“No, va bene così. Non è la sera giusta e domani sarà una lunga giornata.”
“Sicuro?”
“Sicuro.”

Il barista con un cenno si congedò e si allontanò dal tavolo. Ricordo che una volta rimasto solo notai dei puntini vibrare in controluce; come se percepissi nel mio campo visivo la polvere depositarsi sugli oggetti attorno a me. Presto o tardi mi sarei scordato di quel posto. Il bar si stava svuotando. La notte si stringeva lenta sulle sue ultime ore e mi faceva dondolare sullo schienale della sedia. E questo era quanto. Pensai che comunque non era niente di importante. Essere stati piantati in asso dalla bionda, lo sapevo, non era niente di così importante. Lei e io non eravamo nulla. Anche la polvere era nulla. Ma non mi faceva bene pensare a certe cose. Domani il campo designato, al mio via, sarebbe stato sommerso dai detriti dell’esplosione.
Prima però avremmo dovuto disinnescare l’ordigno. Solo dopo l’avremmo fatto brillare, al sicuro.

La bomba. Pensavo a lei ed ero di nuovo vivo e calmo, di nuovo in me. Sentivo le vene pulsare un sangue diverso. Mettevo nuovamente a fuoco il fondo del locale. Questo mi piaceva. Domani avrei disinnescato la bomba e tutto sarebbe andato per il verso giusto. L’avrei spostata con la mia squadra a quattro chilometri da dove era situata, nelle campagne vicine, e poi l’avrei fatta esplodere. Sarei stato concentrato e sarebbe stato un lavoro pulito.
I ragazzi della squadra erano uomini con la testa sulle spalle. Avrebbero fatto ciò che era necessario per mantenere la giusta sicurezza.
Era indubbiamente una bella bomba, pensavo. Grossa e potente. Questo mi teneva sulle spine, ma avrei fatto ciò che dovevo. Capii che dovevo rimanere ordinato con la testa e non disperare, respirare. Come avevo detto al barista. E sentivo che più ci pensavo e meno ero concentrato. Sapevo che se avessi avuto la mente sgombra il giorno dopo sarei stato preciso e avrei svolto il lavoro con naturalezza. È colpa di questo bar, mi dicevo e della bionda sulle scale. Se non fosse stato per lei ora sarei calmo e ordinato come sempre.
L’indomani sarebbe bastata una piccola carica e il tritolo sarebbe saltato in aria e avrebbe fatto un bel baccano. Poi sarei tornato a Trieste e avrei ripensato a questo bar con la certezza che non ci avrei mai
più rimesso piede.

La bionda mi ha scaricato sulle scale, pensavo, non mi ha nemmeno dato il tempo di spiegarmi. Ma non è nulla. Non è importante.
La bionda mi ha scaricato e questo gin è acqua amara. Dovrei alzarmi e andarmene e sbattere la porta alle mie spalle. Non importerebbe a nessuno e nemmeno a me. È sicuramente un posto che dimenticherò e loro faranno altrettanto con il sottoscritto, quindi andale.’
Pensavo che mi sarei alzato a breve e che tutto il resto non contasse più. Non avrei nemmeno finito il mio bicchiere. Non era importante, nulla, né il bicchiere, né il bar, né la bomba. Sarei andato a dormire e avrei fatto finta che quella serata non fosse mai esistita.

E se domani la bomba poi scoppiasse?, mi dissi, lo so che non scoppierà; ma se scoppiasse?
Se domani la bomba scoppiasse nel modo sbagliato questo sarebbe un ultimo gin terribile. Che idiozie. Non dovrei pensare a queste cose; non aiutano la concentrazione. E poi non scoppierà se starò attento. Farò in modo che la squadra mi segua. Non faranno avventatezze. Se riesco a tenere tutto sotto controllo dovrebbe essere anche una cosa rapida. Un lavoro pulito.

 

Testo: Gianluca Ferrittu
Immagini: Valentina Cobetto

One thought to “Un lavoro pulito”

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