Questa storia di spaccare i vetri cominciò con il primo vento freddo. Mi chiamò Spada per dirmi che si andava sul lungotevere. Il primo giorno colpimmo una Panda parcheggiata dalle parti dell’Ara Pacis.
Dissi: “La Panda, proprio la Panda?”
“Zitto”, mi intimò Spada.
E intanto Leo era già partito col bastone. Una botta secca ruppe il vetro posteriore della macchina. Era un lunedì sera piovoso e in giro non c’era anima viva. Solo un barbone a cui Spada donò un sorriso e qualche spiccio.
Quella notte, tornato nella mia tana all’ombra del Gazometro, non riuscii a prendere sonno. Pensai a Roma come a una lunga lastra di vetro. Per scrollare via quei pensieri decisi di uscire di nuovo. Una volta per strada, iniziai a fissare i vetri delle macchine. La voglia di spaccarli montava dentro di me come un cavallo imbizzarrito. Sfiorai con la mano lo specchietto di una Land Rover, ma il coraggio era scappato via con Spada poco prima. E Spada non si fece sentire per alcuni giorni. Aspettai una sua telefonata mangiando, dormendo e accarezzando il mio gatto Santocane. Non ero più uscito, se non per fare la spesa, ma come in un sogno di luci al neon.

Poi una mattina che c’era un’aria frizzante di una primavera anticipata, Spada mi chiamò. Appuntamento da Stregoni sulla Lungaretta, dove ci vedevamo sempre col bel tempo per bere ai tavoli all’aperto; ma era ancora inverno e si spaccavano vetri. Non potevo fare altro che raggiungere Spada e Leo al bar. E un vetro lo spaccai pure io: era una Mini.
“Un colpo da biliardo”, disse Leo.
“Zitto”, così Spada.
Un attimo dopo eravamo di nuovo da Stregoni.
“Ci si vede domani?”, Leo.
“No, lunedì”, Spada.

Nel giro di un paio di settimane eravamo arrivati a spaccare una decina di vetri ciascuno. Fu verso metà febbraio che superammo i cento vetri. Macchine e negozi, pure l’ufficio di un architetto in una via anonima dell’Eur. Uscì un articolo sul giornale.
Leo fu lasciato dalla ragazza proprio il giorno di San Valentino.
“Mi ha detto che ama Lucio, quello dell’alimentari. Voglio spaccare la sua vetrina”, disse.
Spada lo fissò con due occhi di spillo e gli fece sparire la voce. Come al solito eravamo da Stregoni. Leo si appallottolò e lo vidi rotolare sulla Lungaretta come una biglia.

Qualche giorno dopo la primavera piombò dal cielo di colpo. Ricordo che il sole aveva una specie di sorriso, come quello di Santocane e forse come il mio. In quei giorni ci muovevamo con molta cautela e mai insieme: arrivammo a rompere duecento vetri in una notte. Anche in periferia: una volta a Primavalle, una a Testa di Lepre.
Proprio a Testa di Lepre sono stato rincorso da un meccanico. Quando lo raccontai a Spada, mi guardò come se fossi appiattito sulla strada.
Una sera Leo spaccò il vetro di un ristorante giapponese a Monte Sacro.
Disse: “Ho sempre odiato il sushi, a lei invece…”
“Zitto.”
Marzo passò come un razzo. Un giorno spaccai la vetrina di un supermercato sotto gli occhi fermi di Spada. Fui ripreso da una telecamera, ma ero incappucciato. Un comico fece una gag in televisione citando la banda dei vetri.
C’era chi ci odiava, ma anche chi ci esaltava e chiedeva interventi personalizzati.

Una mattina come un’altra mi chiamò Leopoldo.
“Spada si è accanito con lo specchio del bagno e ormai la sua immagine è compromessa per sempre”, disse con la voce affannata della paura.

Testo
: Emanuele Kraushaar
Immagine: Chiara Lu

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