Dormiva. Dormiva a pancia in su, naturalmente. Non poteva dormire in nessun’altra maniera, vista la bomba che gli usciva dal petto.
Anche nel sonno profondo, era consapevole del leggero ronzio della bomba.
La bomba era una scatola di metallo, quadrata, ricoperta di scanalature. Nella parte frontale c’era uno schermo, nero. Non era legata al petto, gli usciva proprio da dentro il corpo. Nel punto in cui emergeva, la pelle era leggermente rialzata.
Poi dalla sveglia partì un grido.
Finished with my woman ‘cause she couldn’t help me with my mind.
Mauro aprì gli occhi di scatto. La sua era una di quelle sveglie da comodino che quando si accendono fanno partire una stazione radio, ma stamattina non aveva avuto fortuna.
People think I’m insane because I am frowning all the time, strillò la radio. Un’acida chitarra elettrica riempì la stanza. Il ronzio della bomba divenne più forte e partì un bip bip bip.
Lo schermo nero cominciò a pulsare di una luce rossa. Mauro colpì la sveglia con forza, ma mancò il pulsante.  Il bip bip crebbe di volume e frequenza. Con il respiro corto Mauro colpì di nuovo la sveglia con il palmo della mano.
All day long I think of things
Stavolta centrò il pulsante.
but nothing seems to sat…
Silenzio.
Mauro mise una mano sulla scatola metallica che gli usciva dal petto.
“Sssh – fece – Ssh.”
Il bip bip rallentò. La luce rossa cominciò a scemare. La bomba alla fine si quietò.

Mauro respirò profondamente, e si tirò su. La stanza era piena del suo odore. Accese la luce e mise un piede fuori dal letto. Urtò una bottiglia vuota di birra che rotolò sul pavimento.
Mauro rabbrividì. Faceva ancora freddo. Sperò che il suo coinquilino si fosse ricordato di attaccare lo scaldabagno.
Andò in bagno. Sì, si era ricordato. Si mise sotto la doccia e lasciò per un lungo minuto che l’acqua calda lo colpisse al centro della fronte. Versò un poco di bagnoschiuma sulla spugna e cominciò a insaponarsi. Con attenzione e delicatezza passò un angolo della spugna dentro le scanalature della bomba, che tendevano sempre a riempirsi di polvere. La sciacquò con cura.
Si lavò i denti. Si asciugò. Si infilò la camicia, e chiuse tutti i bottoni tranne tre, da cui usciva la bomba. Scelse una giacca grigia e una cravatta bordeaux, che adagiò sullo schermo della bomba. Cellulare. Portafoglio. Chiavi. Chiavi. Chiavi? Dove erano le chiavi? Non erano nei pantaloni del giorno prima, gettati sul pavimento. Non erano nella scatola di biscotti al burro danesi che usava per metterci le cose da non perdere.
La bomba fece bip.
Si aggirò per la stanza. Guardò sotto i Dylan Dog: non c’erano. Guardò sotto la pila di magliette pulite. Non c’erano.
La bomba fece bip bip.
Guardò sotto la pila di magliette sporche. Non c’erano. Controllò il cellulare: rischiava di perdere il pullman. Se avesse perso il pullman avrebbe fatto tardi. Non poteva più fare tardi. Lo avrebbero sgridato. Avrebbe fatto la figura dell’incompetente. Di uno che non è capace neanche di arrivare in orario. Irresponsabile. Inaffidabile.
La luce rossa sullo schermo frontale della bomba si accese, e cominciò a lampeggiare. Il bip bip si intensificò. Mauro ci mise una mano sopra.
“Shh. Ssh.”
Doveva stare calmo. Calmo. Dove potevano essere.  Dove…
In cucina! Il giorno prima aveva mangiato uno yogurt prima di andare a letto e le aveva lasciate sul tavolino.
Corse in cucina. C’erano. Guardò l’ora. Era tardi.
Afferrò le chiavi e aprì la porta. L’ascensore era occupato. La solita vecchia che parlava dal piano terra tenendo la porta aperta!
Corse giù per i piani.
BIP BIP BIP BIP BIP
Calma, calma. Faccio in tempo. Se corro, se il pullman è un po’ in ritardo, faccio in tempo. Calma.

BIP BIP BIP BIP

 

Calma. Ecco sono arrivato. Ed ecco il pullman!
“Aspetti! Mi scusi, aspetti!”
Il pullman si fermò. La porta si aprì. Il conducente lo guardò.
“Ancora lei?”, disse il conducente.
Lo disse a voce alta, per superare il bip della bomba.
“Sì – disse Mauro, arrampicandosi sulle scalette – mi scusi”.
Si fermò un attimo davanti alla portiera, aggrappato a una maniglia.

Sono sul pullman, si ripeté nella testa, sono sul pullman. Ce la faccio. Arrivo in tempo. Sono in tempo.
Il bip rallentò. Lo schermo rosso, che era diventato colore dell’inferno, cominciò a rischiararsi. La bomba non si era ancora riaddormentata, ma era sotto il livello di sorveglianza.
Mauro tirò fuori un fazzoletto di carta e se lo passò sulla fronte. Il pullman era pieno, ma ormai sapeva che quella grassa signora peruviana si sarebbe alzata per scendere alla fermata successiva. Cercò di avvicinarsi. Un angolo della bomba s’impigliò nel golfino di una signora.
“Ehi! Stia attento!”
“Mi scusi!”
“Mi tira i fili!”
“Mi scusi.”

La peruviana si alzò. Mauro riuscì a sedersi. La bomba bippava, come un gatto che cede al sonno nonostante il malumore.

Arrivato in ufficio, la receptionist lo salutò con un sorriso.  La receptionist aveva capelli rossi e sul naso una piccola gobba. Gli piaceva.
“Ciao Mauro.”
La bomba prese a bippare come l’elettrocardiogramma di un moribondo, e a illuminarsi come la sirena di un’ambulanza. Al di sopra del rumore Mauro riuscì a dire:
“CIAO, COME STAI?”
“Bene, tu?”
“BENE. BENE. CI VEDIAMO DOPO?”
“A dopo.”
Entrò in ufficio cantando ninne nanne alla bomba.
Il suo capo lo aspettava sulla porta, scuro in volto.
“Mauro, puoi venire un secondo?”
Mauro deglutì, e istintivamente portò una mano sulla bomba.
“Sì. Certo.”
Il capo era un uomo di mezza età, molto ben pettinato. Il capo si sedette alla sua scrivania, e cominciò a giocare con un piccolo righello. Mauro si sedette davanti a lui, sistemando la cravatta sopra la bomba lampeggiante.
“Mauro, ti volevo dire… – squillò il telefono – scusa un secondo Mauro. Pronto? Sì. No no mi dica. Il tubo della cucina? Da cambiare? Ma è sicuro?”

Mauro, rannicchiato sulla sedia, si stringeva la bomba al petto, come a volerla cullare. Ssh, le ripeteva. Ssh. Va tutto bene. Hai fatto tutto, no? Non ti sei dimenticato niente giusto? Giusto? Ma la bomba non lo ascoltava, lampeggiava e bippava come un neonato isterico. Non ne era sicuro, che fosse tutto sotto controllo, e la bomba lo sapeva. Era stato un mese terribile, in cui il suo capo l’aveva chiamato un attimo un giorno sì e un giorno no. Non era sicuro, di farcela. Irresponsabile. Inaffidabile. Incapace di…

“Come? – disse il capo – Mi scusi un secondo.”
Appoggiò la mano sulla cornetta.
“Mauro, ti dispiace?”
“C-come?”
“Non riesco a sentire.”
“Ah. Ah, sì. Mi scusi.”
Mauro si tolse la giacca e la legò intorno alla bomba, per attutire il rumore. Il capo gli fece ok con il pollice.
“Perfetto. Grazie Fernando. Allora, va bene, faccia pure come crede. Va bene d’accordo, saluti. Ah ecco qua, scusa Mauro, ma a casa un disastro, cucina allagata, non hai idea. Allora. Sai perché ti ho chiamato?”
Mauro, sudato, con la giacca ben stretta sopra la bomba, fece di no con la testa.
“Vorrei parlare del progetto di semplificazione dei costi.”
Il bagliore dello schermo della bomba cominciò a intravedersi anche attraverso la giacca.
“Ti era stato chiesto di coinvolgere anche le persone delle vendite, giusto?”
Il bip era diventato così forte che le persone nell’open space vicino cominciarono ad alzare la testa. Mauro cercava di cantare ninne nanne alla bomba, ma dimenticava le parole. Non era riuscito a coinvolgere nessuno, in quel progetto. Avevano chiuso in ritardo, e aveva fatto gran parte del lavoro da solo.
“E invece mi è stato riferito che sei stato tu a fare praticamente tutto, giusto?”
La ragazza della reception mise una mano sulla cornetta e si girò verso quel bip così forte.
“Mauro. Rispondimi. Hai fatto quasi tutto tu?”
“Sì.”
“Cazzo! – Disse il capo, sbattendo il pugno sul tavolo – Lo sapevo!”
Un odore di bruciato cominciò a spandersi nell’ufficio: lo schermo della bomba era diventato incandescente, e cominciava ad annerire il grigio della giacca.
“Mauro, questo non mi lascia nessun’altra possibilità.”

“No – piagnucolò Mauro – La prego no. Sta per esplodere”.

Il suo capo sorrise e tirò fuori una lettera dalla sua scrivania. Stava per dirgli che quelli delle vendite erano un branco di imbecilli, che nessuno era mai riuscito a lavorarci, e che era incredibile che avesse comunque chiuso il progetto. La lettera era un aumento di 300 euro, che non era molto ma di quei tempi… ma tutto questo il capo non fece in tempo a dirglielo, perché appena Mauro vide uscire dal cassetto una lettera con il suo nome stampato sopra, chiuse gli occhi.
E l’ufficio si riempì di una luce rossa.
E un bip prolungato ruppe i vetri, e costrinse tutti a chinarsi e a tapparsi le orecchie.
E un grande calore cresceva nel petto di Mauro. Finalmente, si disse, non avrebbe più avuto paura.

Un telefono squillò, la receptionist alzò la cornetta, ma non fece in tempo a rispondere. Bum.

Testo: Stefano Pellegrini
Immagini: Giulia Baratella

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