Lo spazzolino viola si staglia come un alieno contro le piastrelle verde pastello del bagno. In questo ambiente asettico e luminoso è una presenza impacciata, ridicola. È quasi nuovo, ha le setole ancora dure.
Lo prendo fra i denti e comincio a masticarlo lentamente, per sentirne la consistenza. Le setole sono ruvide contro la lingua e poco a poco rilasciano nella mia bocca il sapore della plastica.
Cerco di schiacciare coi denti la testa dello spazzolino, deformarla, costringerla ad aprirsi a ventaglio, lo tiro fuori per osservarlo, ma ha già ripreso la sua forma originale.
Non ho più dentifricio, qualcosa devo pur farci.
Il tempo fuori è quasi estivo. Il cielo fra i tetti è limpido, silenzioso, percorso da qualche nuvola sottile e solitaria. Lo attraversano in lontananza degli uccelli migratori, uno di loro emette un grido roco.
Sono solo.
È brutto essere soli con questo tempo.
Ma ci sono cose più brutte, quello che sto per fare a Fratello Whisky, per esempio. Fratello Whisky è l’unico amico che mi è rimasto. A volte viene a trovarmi nel pomeriggio, entra dalla finestra del bagno e rimane per qualche ora immobile nella penombra della stanza. Forse gli dà fastidio il sole che picchia sui muri.
Squilla il telefono. Conto gli squilli, aspettando che si attivi la segreteria telefonica.
Rispondere è inutile. Ho imparato a distinguere le cose utili da quelle inutili finalmente. Parlare con una voce anonima dall’altro lato dell’apparecchio è inutile, annullarsi ogni giorno nella trance del concerto di tastiere del tuo ufficio è inutile; leggere libri, seguire notiziari, coltivare verdure sul balcone e farsi una cultura in marche biologiche e solidali, associazioni di beneficenza e artisti underground è inutile. Tutto ciò che serve a distrarsi dalla propria esistenza è inutile.
Masticare lo spazzolino da denti, osservare le nuvole che attraversano lentamente il cielo, aprire la finestra del bagno e mettersi in agguato, è utile.
Investire con la propria macchina un ubriaco e fuggire, farsi arrestare, vedersi rifiutare il rimborso dell’assicurazione perché sei diabetico e non avresti mai potuto firmare il contratto, perdere il lavoro e vedersi pignorare, di settimana in settimana, gli elettrodomestici, i mobili e alla fine anche le mutande, è utile.
Ti trovi a guardare il cielo fra i tetti e a sentire improvvisamente che esisti. Che tutto il resto non ha significato. E fra te e il cielo si apre un vuoto, immenso, glaciale, spaventoso. Bellissimo.
Da qualche minuto fisso la finestra spalancata, ma Whisky non arriva. Mi arrampico sul davanzale con lo spazzolino in mano e mi sporgo a sinistra sul muro illuminato. Il sole rovente mi abbaglia e mi scalda la schiena. Ed eccolo là, Whisky, le sue gambe sottili, nere e pelose sbucano timide dal buco nell’intonaco. Mi vede ma non ha paura, ormai mi conosce. La mia mano scivola sulla parete ruvida, ma mi sporgo ancora un po’ per raggiungerlo. Avvicino lo spazzolino alle sue zampette nere, fino a sfiorarle. Whisky si ritrae un po’. Non capisce ancora. Tocco con le setole la sua testa, gli innumerevoli occhi con cui mi osserva, più infastidito che spaventato. Stavolta si ritrae più in fretta e sparisce nella sua tana. Lo inseguo con lo spazzolino. Percepisco appena l’attrito delle setole sul suo corpo, premuto contro il fondo del muro. Chissà se adesso ha capito.
Ma adesso è tardi. Affondo lo spazzolino e sento la resistenza del suo corpo molle che viene perforato da innumerevoli aghi di plastica e le gambe che si dimenano nel tentativo disperato di sfuggire alla loro presa. Ma io non lo lascio fuggire. Lo tiro fuori lentamente, con lo spazzolino, facendo attenzione a non farlo cadere e a non lasciarlo scappare. Whisky, infilzato sulla testa dello spazzolino, col corpo molle che è diventato una massa informe, le interiora spiaccicate fra le setole, si dimena ancora, pensa ancora di potersi salvare. Proprio come me. Lo guardo e non so se provare piacere o disgusto. Forse non provo nulla. Forse il mondo non ha provato nulla quando ha spiaccicato me ed è rimasto a osservare immobile la mia grottesca lotta per la sopravvivenza.
Un cigolio mi fa trasalire. Mi volto e vedo la vicina che apre il cancelletto d’ingresso ed entra col suo passo stanco. M’infilo nella finestra e attraverso di corsa l’appartamento, spalanco la porta, esco sul pianerottolo e con un salto sono davanti alla porta di casa sua. Prendo lo spazzolino e, lentamente, con cura, spalmo quel che resta di Whisky sul legno, proprio sopra al chiavistello, stando ben attento che non si stacchi. Whisky si muove ancora un po’. Poi torno indietro in fretta, m’infilo nel mio appartamento e aspetto dietro alla porta accostata. La vicina sale le scale a fatica. Arriva in cima, ha il viso stanco e gli occhi vuoti e si dirige ignara verso la sua porta.
La vicina ha paura dei ragni, una volta nel cuore della notte ha svegliato mezzo condominio per un ragnetto nella sua vasca da bagno. Sono andato io a tirarlo fuori da lì. Ho preso un bicchiere e un pezzo di carta e con cura, mentre la vicina strillava per paura che mi scappasse, l’ho messo fuori dalla finestra. Forse era Whisky da piccolo, chi lo sa.
La vicina strilla anche adesso. Ha gettato via le chiavi che in una parabola perfetta sono volate nel vano delle scale e continua a urlare, raggomitolata per terra, aggrappata al corrimano.
E io rido. Scoppio a ridere di una risata violenta, convulsa e incontrollabile. Scosso dagli spasmi non riesco a chiudere la porta e la mia risata echeggia insieme alle grida della vicina nel vuoto delle scale. Due grida prive di senso, che trafiggono il silenzio dell’edificio, salgono indisturbate fino al lucernario, fino al cielo sopra i tetti e si dissolvono nel nulla.
TESTO: Margareta Nemo
IMMAGINE: Luca Lenci 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *