Da piccola abitavo ancora nella casa vecchia di Firenze. La casa vecchia stava alla sinistra di quella che formalmente è casa mia a Firenze, abitata da quelli che formalmente sono i miei genitori.
Era nel bagno grande che si svolgeva la rituale asciugatura dei capelli, quello che sarebbe diventato il più bel ricordo della mia infanzia. Tutte le volte che accendo il phon torno lì, nel bagno grande della casa vecchia di Firenze con mia madre che mi asciuga i capelli e io che me ne sto seduta su uno sgabellino azzurro a tre gambe con una fetta di pane in una mano e una di parmigiano nell’altra. Così tutte le volte, per anni. Quei momenti per me erano come il mare calmo di chi naviga, l’unico posto che oltre al cane potrei chiamare casa.
Nella casa vecchia avevo questo accappatoio di spugna marrone, con un ricamino d’oro – che all’epoca mi sembrava la V di Visitors – sul petto. Avevamo tutti lo stesso accappatoio, ma il mio era l’unico senza cappuccio, come se la mia testa fosse destinata a essere asciugata solo con il phon.
Sono via di casa da 15 anni. Non ho una foto dei miei genitori, di mia sorella o dei miei nipoti. Le uniche foto appese sono quelle dei cani che abbiamo avuto. Tutti i Natali a sentirmi dire ma fa freddo dove vivi tu? Il fidanzato ce l’hai? E fuori le foto tristissime di vent’anni fa dove nemmeno da piccola sorridevi.
Qualche mese fa ho sognato che la prendevo a schiaffi, le urlavo contro che mi aveva rotto il cazzo, che non potevo perdere il lavoro per stare dietro al suo sentirsi perennemente malata. Avevo persino una macchina e me ne andavo pensando “s’ammazzasse pure”. Poi mi sono svegliata e ho accesso il phon nel bagno più lontano possibile da casa. Velocità 1.