rainbow party

Milano luccicava come una torta di compleanno. La neve annunciata per giorni non era arrivata e, al suo posto, uno scroscio feroce aveva trasformato le strade in fiumi bui e insidiosi. Nel trilocale all’ultimo piano di Via dei Transiti 4 la tv muta spalmava un’alba artificiale sulle pareti del salotto, mentre dalle portefinestre spalancate risaliva la marea nera della notte: lo scoppiettio dell’apino di un venditore di rose, il karaoke di una ceviceria peruviana, i passi stanchi di una coppia di ritorno da chissà dove.
Giulia si alzò dal tappeto e si precipitò in cucina a sputare nel lavello.
“Datti una mossa”, disse Claudio.
In mezzo al petto nudo i peli formavano un ricciolo più piccolo di una coda di maiale.
“Se mi fai perdere il turno mi incazzo.”
Giulia chiuse il rubinetto dell’acqua e scosse la testa: “Io ora vado a casa”.
Nadia riconobbe la voce dell’amica ma, invece di aprire le palpebre, le strinse. Ripensando all’ultima frase della telefonata con cui l’aveva convinta a partecipare a quella stupida festa, con quello stupidissimo nome, che il suo ragazzo Luca aveva organizzato a casa della moglie di suo padre. Sei con me, Giulia. Cosa vuoi che ti succeda?
Claudio rovesciò a terra una ciotola di popcorn.
“Te non vai da nessuna parte!”

Fu allora che Nadia aprì gli occhi. A pochi centimetri dal suo naso, una camicia da boscaiolo a scacchi rossa e nera. Poco più in alto, il volto infuocato di un ragazzo con gli occhi chiusi e i denti stretti. Si guardò attorno e tra i flash azzurrognoli della tv senza audio mise a fuoco la scena per la prima volta: una manciata di ragazzi, seduti sul divano, in piedi davanti alla libreria o sdraiati sul tappetto, si stavano facendo succhiare l’uccello da alcune coetanee in ginocchio.
Nadia si staccò dall’inguine del ragazzo con la camicia da boscaiolo e non appena vide quel pene che le ciondolava davanti come una lumaca, sentì il ribrezzo trasformarsi in tristezza. Afferrò la bottiglia di vodka alla menta che qualcuno aveva parcheggiato sul tappeto e buttò giù un bel sorso. Sforzandosi di non vedere l’insipida biondina ai piedi di Luca, raggiunse Giulia, che nel frattempo era scivolata sul pavimento, con la schiena contro la lavastoviglie.
“Ehi.”
“Ehi”, rispose Giulia, e scoppiò a piangere.

riccardo ambrosi 1

Claudio, che era rimasto fermo a un paio di metri dalla ragazza come un cane da guardia, chiese a Luca perché cazzo l’avesse invitata, “lo sanno tutti che è una pazza, questa”, poi annunciò che sarebbe andato in bagno a rilasciare una cagata nucleare e che al suo ritorno si aspettava di trovare la situazione risolta.
Il transetto di legno e mattoni che divideva la cucina a vista dal carnaio della sala dava alle due amiche l’illusione di trovarsi in un posto sicuro e soltanto loro.
“Ora ti riaccompagno a casa.”
“E Luca non s’arrabbia?”
Nadia prese il volto di Giulia fra le mani.
“Chi se ne frega se si arrabbia.”
Guardò l’amica asciugarsi il mascara dalle guance e disse che non c’era nulla di male in quello che stavano facendo, tra una settimana o due se ne sarebbero dimenticate, avrebbero preso la maturità e sarebbero partite per la Grecia, tutte assieme, Nadia, lei, Luca, Chiara.
“Possiamo invitare anche Ivan?”
“Possiamo invitare chi vogliamo.”
“Quel coglione di Claudio allora resta a casa.”

Il coglione di Claudio, che nel frattempo era tornato dal bagno, salì in piedi sul divano e con le mani a cono davanti alla bocca gridò “Cambioooo!”
Come risvegliate da un incantesimo le ragazze nel salotto sollevarono la testa da quelle lingue di carne intirizzita, estrassero i loro rossetti dalle tasche, se lo ripassarono sulle labbra facendo attenzione a usare ognuna il proprio colore, arancione, verde, acqua marina, oro, blu, viola, nero, rosso, e si andarono a tuffare sull’inguine del ragazzo alla loro destra.
Due sagome scure si materializzarono di fronte a Nadia e a Giulia ancora sedute a terra. Sorridevano come due olimpionici sul podio.
“Preferenze?”
“Io prendo la schizzata.”
Giulia si aggrappò a Nadia, ma l’amica non fece in tempo a dire nulla che l’interruttore scattò con un clic e i genitori di Luca entrarono nel salotto illuminato a giorno.

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Per alcuni, brevissimi istanti nessuno si mosse: una famiglia di lepri sorpresa dai fari di un’auto nel cuore della notte. Poi, di colpo, scoppiò il caos. Alcune ragazze scapparono in bagno, altre si nascosero dietro il divano. I ragazzi si tirarono su i calzoni e batterono in ritirata sul terrazzino del salotto, Claudio scavalcò il divano con un salto e schizzò nel corridoio, oltre la porta.
Nadia si alzò in piedi e incrociò lo sguardo della donna che il padre di Luca aveva sposato sei mesi dopo che il cancro si era preso sua moglie, e pensò che avesse un volto angoloso e annoiato ma quando si accorse di non avere indosso il reggiseno, chinò la testa e restò in silenzio.
Non ci misero molto a individuare il figlio. Si era stravaccato sul divano e sfoggiava un sorriso da ebete. La canna d’erba oscillava tra le sue dita come un’esca viva.
“La notte non è mai stata così muta. Vero, mammina?”
I suoi riflessi erano così addormentati che non vide le cinque dita della mano destra di suo padre atterrargli sulla guancia e lo schiaffo riecheggiò nel silenzio.
“Adesso chiamate i vostri genitori e vi fate venire a prendere – disse l’uomo – Così sentiamo cosa ne pensano loro, di questo”.
Chi non aveva ancora pianto, scoppiò in lacrime. Alla tv un Johnny Depp pallido e muto, in cima a una scala, incideva un blocco di ghiaccio con le lame al posto delle dita. A Nadia sembrò di sentire sulla pelle il freddo di quella scena natalizia e, con il crepitio di un passo sulla neve, un brivido le morse l’attaccatura dei capelli sulla nuca. La cosa buffa non era che attorno ai divani adesso le ragazze fossero diventate nove e non più dieci, ma che a notare quella disparità per primo fosse stato proprio Luca, i cui occhi non erano più aperti delle asole del suo maglione.
“Cosa fa, la schizzata?”, disse indicando il terrazzo.
Chissà perché, prima di voltarsi verso il terrazzo, Nadia ripensò alle parole che Luca le aveva detto qualche mese prima, sul parapetto della piscina abbandonata del Parco Trotter, mentre le baciava le palpebre bagnate e le porgeva la pillola che avrebbe risolto l’imprevisto della notte precedente: D’ora in poi sarà tutto perfetto.

Quando vide Giulia in piedi su una sedia, accanto alla balaustra del terrazzo, dalle labbra di Nadia spiccò in volo un no! lieve come i fiocchi di neve che cadevano dentro lo schermo della tv. E come se avesse sentito davvero quel fiocco di neve, Giulia si passò l’indice sulla guancia e la fissò, ma non disse niente. Alzò la gamba destra, poggiò il piede sulla paratia e una volta staccato anche l’altro restò in equilibrio sulla balaustra. Vide la sommità del Palazzo di Fuoco e, più lontani, gli occhi gialli dei bastioni di Porta Venezia. Quello che accadde dopo fu una successione di movimenti di ballerina, splendidi e irreversibili. Il mento in alto. Le braccia spalancate. Il salto.
Mentre le sue orecchie facevano muro contro il frastuono della realtà, Nadia ebbe la certezza di essere colpevole di tutto. Si accasciò sul pavimento spazzato dal vento e pianse come una bambina. Aveva diciotto anni.

Testo Marco Amerighi
Illustrazioni Riccardo Ambrosi

 

 

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