Avendo terminato il mio Ph.D in filosofia morale nel giugno del 2008, erano poche le cose che avrei salvato nella lista delle cose da non fare. Mangiare i cadaveri dei parenti, una volta uccisi in sacrifcio rituale. Sprecare l’acqua. E scopare la donna di un amico.

Dei miei tre capisaldi morali quest’ultimo era senza dubbio il più stupido, eppure io non riuscivo a liberarmi da questo precetto stile dieci comandamenti. Che sciocchezza, mi dicevo, come se una donna mi appartenesse, come se appartenesse a qualcuno, che barbarità, che regola da pastore mesopotamico, eppure, nel 2008, quando terminai il mio Ph.D. alla Columbia, credevo fermamente in questo terzo dettame e solo in questo.
Abbandonai di lì a poco l’ambiente accademico, ripugnato dai miei colleghi, persone della peggior specie, dalla moralità abietta. Mollai tutto e mi dedicai ad altro, non ebbi mai nessun rimpianto di aver lasciato quella situazione, ma la mia concezione morale ne uscì comunque influenzata. Rimasi sempre fedele alla regola e non scopai la donna di un amico.

Nel 2011, per esempio, Laura mi entrò in camera, all’epoca in cui vivevamo dalle parti di Prospective Park io, lei e il suo ragazzo Kiril, lei mi entrò in camera, con i pantaloni addosso e solo il reggiseno, e cominciò a strusciarsi come una gatta, a sbattermele in faccia quelle sue tettine a punta, e io le dissi: “Dai Laura, lasciamo perdere”.
E lei mi guardò e disse: “Ma come? Te, fascista, bestemmiatore, sudicio maniaco, puttaniere segaiolo, non hai voglia di mettere le tua mani su queste due cosine?”.
Io risposi: “Certo Lauretta che ho voglia, ma ti dimentichi di Kiril”.
Andò così. E poco importa che lei non fosse questo gran che e che di lì a poco la sua storia con Kiril degenerasse del tutto e continuare a vivere in quel buco vicino a Prospective divenne impossibile: io quella volta rimasi fedele al mio dettame morale. Poi passarono gli anni e mi fidanzai con Mary Ann.

Mary Ann mi portò a vivere la moralità con occhi diversi, a smettere semplicemente di pensarci continuamente e vivere come si vive tutti: con le nostre abitudini, le nostre cene fuori e i nostri lavori full time del tutto regolari, così che la vita si fa ritaglio, e la morale smette di essere un argomento di qualsiasi interesse.
Con Mary Ann frequentavamo spesso una coppia di amici, Bill e Samantha, andavamo a cena con loro, oppure al cinema, oppure a fare delle girate, così le chiamava la mia Mary Ann: “Guarda che giornata, andiamo a fare una girata”.
Aveva ragione. Allora io chiamavo Bill e Samantha. Si stava bene con loro e non c’erano particolari tensioni. I pomeriggi d’ottobre nel New England. Risalivamo la costa boscosa ascoltando la musica, ci fermavamo nei bar a mangiare un panino e una birra e un caffè. Stavamo bene insieme. A volte poi la sera discutevamo nel letto con Mary Ann di come erano loro e di come eravamo noi. Nulla di originale. Ma la verità era che io la moglie di Bill, Samantha, me la sarei voluta scopare,che me la sognavo la notte, dopo le nostre seratine di coppia, dopo quelle cene in cui il mio cazzo rimaneva puntato tutta la sera verso di lei. Me la sognavo di notte in tutte le posizioni e non c’era niente da fare: lei era la donna del mio amico, come giravi la faccenda non se ne usciva. Il divieto, mi dicevo, è la più forte formula per attivare il desiderio, è normalissimo. Lei non è niente di che, è pure un po’ scema, non è neanche tanto bellina: mi dicevo, ma non cambiava niente. A cambio con Mary Ann non farei mai, queste sono proprio le tipiche paranoie da piccolo borghese che non volevo diventare, ecco che cosa sono diventato, mi ripetevo. Ma la situazione comunque era bloccata.

Poi una sera che Bill era via, dai suoi parenti in Connecticut e Mary Ann era a Cape Cod a trovare la sorella, Samantha mi telefonò, per invitarmi a una serata di cui era stata promotrice. Io ovviamente andai. Lei era, come dice il poeta, “meno bella del solito”. Sarà stato lo stress per l’organizzazione della serata, ma io sospettai ci fosse dell’altro. Era la tensione che aveva patito per trovare la forza di invitarmi là. Allora passammo quella sera dietro a differenti interessi, lei con la sua mondanità, mentre io al tavolo degli alcolici, ma sempre tenendoci d’occhio attraverso i locali, come a controllarci, e ogni tanto brindammo, al niente, brindammo alla fine imminente, alla fine del mondo, al trionfo del nulla, del male sul bene, brindammo a Satana, ai quattro cavalieri dell’apocalisse e dopo tornammo a casa insieme.
La casa di Bill e Samantha in cui ero stato mille volte aveva quella sera una luce diversa, come un bagliore rossastro. Bevemmo un cocktail sul divano, poi i corpi si avvicinarono e cominciammo a baciarci e toccarci.
Le sue labbra, su cui talvolta Samantha appoggiava un dito, come di traverso, a formare un divieto: eccole là. Finalmente potei toccare quelle tette che avevo solo visto e studiato in ogni modo mi fosse possibile. E l’attesa fu ricompensata. Erano dure e grandi e mentre io facevo così Samantha mi sbottonava i pantaloni e iniziava a segarmi piano. C’era passione, ma c’era anche un blocco, una tensione: erano i miei studi di filosofia morale che tornavano e che io adesso dovevo finalmente respingere, abiurare. Poi girai Samantha e cominciai a prenderla da dietro. Prima dei colpi delicati, poi di maggiore intensità. Lei stava semi-girata verso di me, in una torsione, mi guardava e ansimava piano.

Fu allora che lo vidi, l’occhio dentro l’ano. Era un occhio e mi guardava, un occhio che sulle prime mi sembrò tutt’altro, come una pallina, come una pustola, ma non ebbi mai repulsione, quello era un occhio, e sembrava terribilmente l’occhio di Bill. Mi fermai di botto e lei mi chiese cosa avessi.
“Niente”, dissi.
E ricominciai, facendo finta di nulla, ma quell’occhio mi fissava, era astuto, a volte sembrava benevolo, ma più che altro incattivito, non distoglieva mai lo sguardo da me che scopavo sua moglie. Allora vi sputai sopra, più e più volte, e lui si chiuse. Vi passai sopra un dito e lo spinsi. L’occhio si chiuse e rientrò dentro se stesso. Lei si voltò ancora e annuì, così che io la inculai, scacciando l’occhio nelle profondità del suo retto.
Di lì a poco venni copiosamente, rabbiosamente, estrassi dall’ano il mio cazzo e glielo feci leccare. Lei mi guardava con il mento da cui pendevano alcuni fili di sperma, ed è così che me ne andai, come in un porno qualunque, di cui non ha nemmeno senso parlare.

Poi passarono i giorni, come passano sempre, e molti ne passarono prima che io e Mary Ann, tornata da Cape Cod, rivedessimo Bill e Samantha. Ovvio che facemmo finta di nulla, ma c’era una cosa che non fu possibile ignorare. Bill aveva indosso una benda come da pirata. Si era ferito, ci raccontò, sciando in Colorado, con una racchetta da neve si era accecato un occhio, ma era stato fortunato perché sarebbe potuto tranquillamente morire. Forse si sarebbe sottoposto a un complicato intervento chirurgico, forse non avrebbe fatto niente, alla fine la sua benda da pirata non gli dispiaceva.
Samantha e Mary Ann risero, io mi sentii frizzare l’occhio a mia volta, come una bruciatura, come una ferita, come se un occhio chiuso mi guardasse, dall’interno. Non sorrisi e non dissi niente.

Testo: Simone Lisi
Immagine: Luca Lenci

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