legna

Hai detto Sta venendo freddo, e io ho risposto Andiamo a comprare la legna per la stufa.
Hai lasciato la tua auto dal meccanico, siamo saliti sulla mia. C’era la nebbia e, dietro di lei, un sole chiaro, color canarino.
Guidando, ti sbirciavo. Odoravi di fumo di sigaretta, ogni tanto tiravi fuori il cellulare dalla tasca per controllare qualche notifica o per guardare l’ora.
Siamo arrivati all’azienda agricola, abbiamo parcheggiato nello spiazzo. Il proprietario ci ha fatto pesare la macchina vuota sopra a una bilancia per autoveicoli e ci ha detto Potete andare da quella parte, indicando un’area sul retro dove porzioni di tronco di varie dimensioni erano accatastate disordinatamente le une sulle altre. Abbiamo spostato l’automobile e abbiamo cominciato a caricarla di rami secchi.
E ora eccoci qui, dal Rivenditore di Legna e Pellet per Stufe e Camini, a riempire il bagagliaio di un’automobile con legna che forse non bruceremo insieme. Tu, ancora corrucciato, assente, lo sguardo fisso sulle tue mani. Io, che scelgo i ceppi migliori, pensando all’uso che ne farò – questo è secco e piccolo, va bene per accendere il fuoco; questo è grosso e pieno di muschio, meglio lasciarlo asciugare davanti alla stufa prima di utilizzarlo.
Pesiamo di nuovo la macchina piena di legname e paghiamo. Tornando a casa, l’abitacolo si riempie di odore di bosco ed è come stare in collina in ottobre, quando il terreno si fa umido piano piano e spuntano i funghi e cadono le prime castagne.
A casa impiliamo la legna di fronte all’ingresso, nell’angolo del vialetto cementato dove parcheggiamo sempre. Lavoriamo in silenzio, mentre il sole tramonta. Non ho ancora sfilato i guanti rinforzati, eppure qualche scheggia si insinua tra le cuciture logore e mi graffia. Ti chiedo se sei stanco, se ti fa male la schiena. Provo a scherzare sull’inverno che si avvicina e mi invento una storia in cui noi siamo due taglialegna e viviamo nella foresta fatata e la sera, quando rientriamo in cucina, accendiamo il camino con le nostre pigne magiche e cuciniamo una minestra afrodisiaca e siamo felici, con la neve fuori e il brodo caldo all’interno.
Tu non rispondi. Non rispondi mai. A malapena sorridi. Tutte le storie che invento le invento da sola. Sembra non ti riguardino e forse è così, perciò mi sento stupida.

Elisa Francioli 1

Comincio a scomparire un poco per volta, quasi impercettibilmente. Non divento davvero invisibile, soltanto riduco la mia massa. Ci sono giorni in cui mi sembra qualcosa che posso controllare, che posso incentivare oppure inibire. Altre volte è qualcosa che accade all’improvviso, come uno starnuto, e subito dopo sento i pantaloni farsi più larghi intorno alle cosce e le spalle navigare sotto al maglione.
All’inizio le persone che mi vedono sgranano gli occhi e sorridono. Hai perso peso, stai benissimo, segui una dieta?
Ma poi, dopo qualche mese, quegli occhi che mi guardano si fanno severi e sospettosi.
Adesso basta dimagrire, mi dicono i conoscenti che incontro per strada, Sei troppo secca, fai impressione.
Tocco le mie ossa dure che spuntano dappertutto: sto davvero sparendo e tutti se ne accorgono. Tranne te.
Provo a mangiare cibi più calorici. Faccio due colazioni e mi riempio la bocca fino a scoppiare, fino a sentire dolore alla pancia e allo stomaco. Mangio di nascosto, bevo vino e cioccolata calda e latte intero, ma niente. Mi peso e sono sempre più leggera. Mi vesto e sono sempre meno voluminosa.
Tornerò mai come prima?, mi chiedo. Da quando mi sono fatta più piccola, mi sento diversa. Per la prima volta il mio corpo non è solo qualcosa che svolge funzioni meccaniche, che carica e impila legna, che lava i tuoi vestiti e raccoglie i tuoi calzini dal pavimento. È qualcosa da monitorare e a cui prestare attenzione.
Tu non lo vedi, sembri non accorgertene. Non ti domandi come mai ogni settimana aggiungo buchi alla cintura e perché sento tutto questo freddo e continuo ad alimentare la stufa. Tu muori di caldo e ti lamenti, sudi, ma non mi chiedi Perché tremi?.
Apri un poco la finestra, perché altrimenti ti senti soffocare e questa stanza è sempre troppo calda per te, ma mai troppo fredda per me.
La verità è che sono sempre più piccola e non so come tornare a crescere. Perché dentro a questi abiti sporchi, che tante volte hai toccato per toccare me, io continuo a dimagrire e scompaio, piano, nonostante il caffè con il latte la mattina, e i gelati e le birre che ingerisco per saziarmi. Eppure non mi sazio mai.

Vado dal medico per farmi visitare. Le vie respiratorie sono libere e la gola non è arrossata. Mi fa correre su un tapis ruolant per trenta minuti, monitorando il mio battito cardiaco, e tutto fila liscio. Mi chiede se avverto stanchezza, nausea o giramenti di testa. Rispondo di no.
Ipotizza che sia un problema ormonale, ma quando mi sottopongo alle analisi del sangue i valori sono nella norma. Mi dice di provare con lo yoga o con la meditazione o con gli integratori, ma non funziona niente.
Nel fine settimana, quando la sera cucini per me e mi guardi mangiare due porzioni di ogni piatto, sorridi soddisfatto e dici Sono contento ti sia piaciuto.
Poi sparecchi la tavola, mi baci sulla fronte e a me sembra di poter tornare a ingrassare. Beviamo tanti bicchieri di vino, mi accarezzi lungo tutto il corpo e inizi a spogliarmi e io penso Ora se ne accorgerà. Invece facciamo sesso sul divano e quando finiamo ti rivesti, mi scompigli i capelli e vai in bagno. Mi addormento in mezzo ai nostri vestiti, nuda, tremando di freddo, mentre la legna scoppietta nella stufa.

Troverò il modo di stare bene di nuovo? Ci sarà un dopo o questa malattia è per sempre? Riuscirò a uscire di casa senza la paura di incrociare la gente e di parlarci? La paura di vedere le madri che mi indicano alle figlie e bisbigliano Non ridurti mai come quella.
Alla fine te lo dico: Sto sparendo.
All’inizio non capisci e mi chiedi di ripetere. Quando lo faccio, alzi per un secondo lo sguardo dalla carota che stai affettando e mi domandi In che senso?.
Nella cucina c’è odore di cipolla e rosmarino. Stai preparando un arrosto di maiale profumato al limone. Rovesci la carota a cubetti nella padella di olio bollente, che comincia a sfrigolare.
Mi sollevo il maglione fin sopra il seno nudo e ti mostro le costole. I pantaloni grigi sono tenuti in vita da una corda perché non ho avuto il tempo di portare la cintola dal calzolaio. La mia pancia bianca riluce nel mezzo della cucina, tutta increspata dalla pelle d’oca. È incavata e sembra un golfo, con tutte le costole parcheggiate lungo la riva come barche.
“Sì, forse sei un po’ dimagrita, effettivamente”, ammetti, mentre aggiungi il sedano al soffritto e l’olio schizza da tutte le parti.
Lascio ricadere il maglione e ti guardo maneggiare la carne marinata dentro un recipiente di plastica.
“Non sono dimagrita, sto sparendo.”
“Allora devi impegnarti a mangiare di più.”
“Ma io mangio”, protesto.
“Quando sei con me mangi, ma come posso sapere che non salti i pasti quanto stai da sola?”
Mescoli piano le verdure che sobbolliscono in padella e poi le fai saltare velocemente, prima di aggiungere il taglio di carne e di lasciarlo rosolare.
“Io mangio sempre, eppure guarda come sono magra”, mi indico il torace con entrambe le mani.
“Ora non esagerare, non mi sembri poi tanto diversa.”
Hai un tono tranquillo, per niente allarmato.
“E invece lo sono”, rispondo.
Leghi i rametti di rosmarino con uno spago e li sistemi nella padella. L’olio sfrigola sempre più forte.
“Come fai a non vederlo? Se ne accorgono tutti”, e nel momento stesso in cui lo dico me ne pento.
Punti i tuoi occhi nei miei e contorci la bocca: “Scusa se lavoro tutto il giorno”.
“Non è questo il punto e lo sai – rispondo – è solo che potresti almeno fare qualcosa”.
“Stai dicendo che non faccio niente? I cibi che ti cucino non sono abbastanza nutrienti? È questo che vuoi dire? Mi dispiace se devo lavorare e posso cucinare solo nel fine settimana”, dici sarcastico.
Io nascondo il viso nelle mani e ti lascio parlare. Cominci ad accusarmi di essere una persona fredda, che non parla mai di sé e decide di farlo nei momenti meno adatti. Mi dici che non puoi aiutarmi, perché sei tu quello che deve essere aiutato, perché sei stanco e vorresti solo passare un sabato sera tranquillo a cucinare il tuo arrosto di maiale.
Quello che mi dici dopo è comprensibile, persino legittimo. Mi dici che sei arrabbiato perché l’auto è di nuovo dal meccanico, ma non dici che sono io ad accompagnarti al lavoro tutti i giorni; mi dici che dormi male, ma non dici che sono io a cambiare le lenzuola quando diventano troppo sporche; mi dici che muori di caldo in questa casa di merda; ma non dici che sono io a lavare il sudore dai tuoi vestiti. Mi dici che ti è passata la fame e te ne vai in un’altra stanza, e così, anche tu, scompari.

elisa francioli 2

Spengo il fornello e butto il mestolo nel lavandino. L’arrosto si è attaccato al fondo della padella. È tutto bruciato da un lato e crudo dall’altro. Irrecuperabile.
Il copione vorrebbe che io ti raggiungessi in camera da letto, dove ti sei rifugiato, e ti domandassi se sei arrabbiato e per quanto tempo lo sarai. Invece ti parlo attraverso la porta per dirti che esco e che dormirò fuori. E anche se tu protesti debolmente e mi dici di non fare stupidaggini, io non ti ascolto. Mi metto il cappotto, salgo in auto.
Guido fino al mare, fino alla scogliera dove qualche notte ci siamo baciati, anni fa. È sempre uguale a quando ti ho portato qui e ti ho detto Questa si chiama Scogliera dell’Amore, e dietro di noi c’erano le colonie abbandonate, davanti a noi le onde rumorose del mare e intorno a noi nessun altro.
Sarà diversa, domani mattina, con il sole e tutte le famiglie a passeggio lungo la battigia, infreddolite, con i bambini che corrono e si sfregano le mani dentro ai guanti di lana. È strano vedere di nuovo questo panorama e sapere che è rimasto qua per tutto questo tempo, anche mentre ero chiusa in casa a scaldarmi di fronte alla stufa. Non so come troverò il modo di smettere di scomparire, ma mi sembra sia qui che devo cominciare a cercare.
Scendo dalla macchina, mi investe un vento gelido e salmastro che spettina i capelli. Sono piccola, ma ancora abbastanza grande da non aver paura del buio. Mi arrampico sugli scogli scivolosi con il timore di cadere, ma ho molta più paura di fermarmi, perché il freddo mi paralizzerebbe.
Guarirò, un giorno, e sarà di nuovo facile abbottonarmi la giacca e trovare reggiseni della mia taglia o pantaloni che non mi cadano in vita. Guarderò questo panorama senza pensare Che cosa mi è successo? ma solo Qualcosa succederà.

Testo Francesca Mattei
Illustrazioni Formine

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