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Sulle carte. Tutto ciò che rimane del giovane Sinforiano Séquélas, minatore a Monteponi dal 1872 al 1874 (Sardegna sud-occidentale), è la sequela di domande prive di risposta, gettate a casaccio sui fogli che temo, temiamo, non valgano un accidente di niente. Questioni di poco conto che rendono ancora più scura la galleria verticale in cui si calò quel pomeriggio di marzo del 1889, e ancora più difficile comprendere il senso degli sproloqui in forma diaristica che ci sono pervenuti.

Sulla strada. Lungo la Vézère, marzo 1889, (Francia sud-occidentale). Un sogno dimenticato nel sentiero per Montignac, scriverà Sinforiano nel suo memoriale, riferendosi alla tragedia del bambino caduto nel pozzo di roccia. Una vicenda raccapricciante, per il suo esito e per le conseguenze di quella discesa nell’Ade, un’ulteriore tempesta all’equilibrio psicofisico di Sinforiano, costretto da allora a vivere il resto dei suoi giorni in preda al delirio della geometria, Sfioravo la quarta dimensione, così dice, e questo dovette procurargli nausee e vertigini fino alla vecchiaia. Quando giunse ai bordi del pozzo roccioso, la valle era già sprofondata nel silenzio, della natura e dei presenti, che stavano ammutoliti e bianchicci in volto, chi seduto, chi in piedi claudicante. Dei parenti del bambino, increduli: il padre parlava un francese colto e sminuiva l’accaduto, che non era colpa di nessuno e non poteva sentirsi responsabile; la madre poi, arrivata in un secondo momento – una donna giovane e bella, biondissima e con le palpebre congelate di su – guardava l’uomo e pensava a lui come alla peggiore disgrazia della vita. Forse era così, o forse era più la disperazione a incorniciarne il volto, a farla sussultare ogni volta che un grido saliva dalle pareti del pozzo. Il piccolo Jonas doveva aver preso da lei, così lo immaginava Sinforiano: biondo, educato, silenzioso. Ma curioso, tanto che doveva essersi sporto troppo, attirato dal pacifico silenzio della bocca del pozzo, per scivolarci infine, dentro le profondità della terra, con il corpicino squassato dalla caduta. Con quelle facce che c’avevano non dovevano essere in grado di immaginare un preciso piano di salvataggio. Ma secondo Sinforiano era proprio l’eco del rantolo che saliva dalla gola di roccia a immobilizzare tutti, se il piccolo Jonas era vivo, e così pareva, doveva essere a dir poco malridotto. Dal profondo fuoriusciva una voce che non era più la sua, né quella di un qualsiasi bambino, ma più simile all’urlo di un vecchio ammalato, e si allungava stridula in un suono metallico. Non chi, si chiedevano dunque, ma cosa provocava quel suono?

Sulle carte. Il seguito è raccontato da Sinforiano Séquélas nei memoriali: ogni breve paragrafo possiede un titolo proprio, alcuni di questi sembrano essere stati aggiunti dopo una prima stesura, così come alcune note. Delle volte cambia il tratto, più spesso la grafia e lo stile, come se la penna non fosse più la stessa, o quella di un’unica persona dalla personalità sconvolta. Non è automatico andare oltre il primo paragrafo che ha titolo La discesa, senza soffermarsi e rileggere.

Dal memoriale di Sinforiano Séquélas, dettato in una notte insonne e priva di stelle. (20 marzo, 1889). Due di quegli uomini che sembravano fantasmi ho lasciato che mi accompagnavano al pozzo. Era lontano appena due, forse tre chilometri. Io ho perso il modo di vedere le distanze causa gli anni neri nel buio delle gallerie per lavoro di miniera. Due tre non fa differenza. Altri ragazzi più giovani venivano dal pozzo. Altri ancora urlavano il nome del figlioletto Jonas Jonas nella bocca nera della roccia ma non veniva su niente solo l’eco a perdersi nelle profondità della terra. Qualcheduno che buttava funi o altro ma non c’era modo di capire se era vivo o incastrato sul fondo. Ché nel buio del pozzo gli occhi servono a poco, a guardarci dentro non lo capisci, bisogna usare l’orecchio e devi sentire gli odori, gli strati sotterranei, devi sentire le mani del mondo che sfiorano la pelle e ti dicono dove sei e dove te ne andrai. Quando poi vedo le donne pregare per il bambino decido di legare una fune con doppio cappio intorno a spalle e fianchi e di calarmi per recuperare la creatura. Senza sapere niente di quelle profondità, né alla fine avevo preso io la decisione, ma succede che è la roccia stessa a parlare, ché è come una madre gigantesca che ti chiama […]

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Sinforiano descrive La discesa come una calata in un corridoio verticale, dove le pareti cambiano forma e non lasciano vie d’uscita; aggiunge però la questione riguardante gli spifferi, trattata più avanti nei memoriali: come di una sensazione, che quel pozzo roccioso fosse pieno di spifferi. E il tempo, anche quello non era lo stesso, non c’era più il tempo, come dice nelle carte, doveva sembrare qualcosa di eterno. Le strane allucinazioni provate, prima dentro il pozzo durante il tentativo di salvataggio del piccolo Jonas, e in seguito, con graduale aumento d’intensità negli anni a venire, riportano anch’esse all’altro incidente avvenuto sedici anni prima, dove Sinforiano Séquélas venne coinvolto, e anche allora i minatori ebbero le stesse allucinazioni (come riportano alcuni rapporti sulle condizioni degli operai di miniera). Viene dunque da chiedersi quale strano inganno leghi le grotte sotterranee nei pressi di Montignac in Francia alle gallerie di roccia scavate dai minatori nella Sardegna sud-occidentale. Potrebbero essere forse I sogni dimenticati, i ritrovamenti di antiche inscrizioni rupestri vecchie di 17000 anni. Sinforiano Séquélas non poteva averne idea, ché solo cinquant’anni più tardi questi graffiti sarebbero stai rinvenuti nelle caverne, e ché anche adesso azzardare un collegamento risulterebbe assai imprudente.

Sull’isola. La Società Monteponi Miniere fu creata nel 1850 da un gruppo di imprenditori genovesi decisi a investire nell’attività estrattiva nei territori dell’Iglesiente (Sardegna sud-occidentale). Dopo alterne vicende che l’hanno vista protagonista di investimenti e di partecipazioni ad altri gruppi societari, si fonde nel dicembre del 1961 con la Montevecchio, Società Italiana del Piombo e dello Zinco, dando vita alla Società Monteponi/Montevecchio. Pochi seppero del grave incidente avvenuto il 23 settembre 1873: tacquero le autorità di polizia mineraria e l’azienda titolare della concessione (Miniere di Monteponi). Alle ore 15,30 un’enorme frana si staccò dal pozzo principale, ostruendo l’uscita di una delle gallerie a settantacinque metri di profondità. Uno degli addetti al tornichello morì sul colpo, il petto perforato da un manico che era parte dello stesso attrezzo di lavoro; altri tre minatori rimasero intrappolati in quella prigione sotterranea. La mole di materiale roccioso ostruì per quindici metri in altezza l’unico accesso alla galleria. Una squadra di soccorso si mise al lavoro nonostante la società mineraria ritenesse impossibile attuare un piano di salvataggio, considerando le vittime di già morte sotto le macerie. Ai lavori si aggiunse l’abile caporal maggiore della miniera di Monte Agruxau (Società Vieille Montagne), Sinforiano Séquélas nato in Francia (Goulier), appena ventinovenne e richiamato nelle miniere di Iglesias come sostituto. Il giovane Séquélas non ascoltò la direzione, propensa a sospendere i soccorsi, e proseguì il massacrante lavoro di scavo, si aprì un varco attraverso una seconda galleria di un pozzo adiacente. Passarono quattro giorni e Sinforiano scrisse il proprio nome con le unghie sulla parete di roccia, cadde a terra stremato e privo di coscienza, il varco era stato aperto. Alle ore 11 del 27 settembre venne liberato il primo dei tre minatori sepolti, gli altri due videro la luce alle ore 18. Per novantadue ore chiusi in un pozzo nero di miniera, soffocati da un principio di carboniemia, ma sopravvissuti. Del caporal maggiore Sinforiano Sèquélas dissero: “In mezzo allo sbigottimento del personale dirigente ed operante delle miniere di Monteponi, non esitò un momento di prestarsi alla pietosa opera e seppe tanto maestrevolmente continuare nella direzione immediata dei lavori, compiendo la fausta liberazione dei tre infelici minatori”.

Sulle carte. In un resoconto del 1874, scritto in seguito al peggioramento delle condizioni dei minatori e al grave incidente dell’anno precedente, vengono elencate alcune delle malattie più frequenti che affliggevano gli operai. Una parte di questo resoconto era sparita per anni, chiusa in qualche cassetto senza motivazioni, riemersa poi dal nulla grazie alla stessa azienda titolare delle concessioni, che evidentemente ritenne inutile il protrarsi della censura. Nella parte nascosta del testo appare il nome di Sinforiano Séquélas. Ecco le prime righe del testo: “Il progresso e la consapevolezza dei diritti umani deve incentivare la lotta per modificare gradatamente le condizioni di lavoro dei minatori. Affinché rimanga il ricordo, perenne, incancellabile, negli occhi di chi ha vissuto, giorno dopo giorno, nelle viscere della terra, e combattuto ad armi impari contro il costante pericolo dei crolli nelle gallerie a centinaia di metri di profondità, dei gas velenosi e delle terribili malattie invalidanti e mortali”. Nell’elenco appaiono nomi impronunciabili come: Silicosi (da inalazione di polvere contenente biossido di silicio allo stato cristallino, che esita in una fibrosi polmonare. Il biossido di silicio si trova in natura prevalentemente sotto forma di quarzo, calcedonio od opale. Sono esposti i lavoratori che inalano polveri che ne contengono percentuali superiori all’1%. Ad alto rischio sono il lavoro in miniera e il taglio delle pietre); enfisema polmonare (per distruzione delle pareti alveolari, si manifesta in principio con dispnea, tosse, asma, respiro sibilante, rallentamento dell’espirazione forzata, perdita di peso); bronchite (infiammazione delle mucose dei bronchi  per l’inalazione cronica di inquinanti dell’aria o fumi irritanti o polveri presenti in galleria); dolori reumatici (disturbi medici che possono riguardare cuore, ossa, articolazioni, reni e polmoni. Nei casi più gravi, possono creare problemi ai movimenti rallentando gli stessi. I cambiamenti nella pressione barometrica sono il collegamento principale tra clima e dolore. La bassa pressione è generalmente associata al freddo, al tempo umido e a un aumento del dolore); scabbia (dall’acaro Sarcoptes Scabiei, parassita molto piccolo e non direttamente visibile, che si inocula sotto la pelle del soggetto colpito, provocando un’intensa allergia); e ancora in diversi soggetti analizzati si sono manifestate allucinazioni uditive e visive, da qui inizia la parte nascosta del resoconto. In un paziente in particolare, il giovane Sinforiano Séquélas, di anni trenta, sono state riscontrate diverse manifestazioni di questo stato allucinatorio. Séquélas è convinto di abitare in un monolocale in cui è difficile distinguere il soffitto dal pavimento, alto e basso; su ogni lato è incastrato in maniera incomprensibile un appartamento uguale e perfettamente simmetrico, così il paziente abita ora in sette appartamenti legati fra loro, e passeggia in ognuno di essi senza capire quale sia la struttura originaria. Séquélas sostiene che l’appartamento sia pieno di spifferi e che il tempo non esista, Non c’era più il tempo, afferma; ci riferisce che ogni angolo della casa diventa un enigma, ogni anta o porta un mondo nuovo da esplorare; una sera era immerso nella vasca da bagno e si è preso una paura accorgendosi che la vasca da bagno stava appesa al soffitto, e per giunta nella sua vecchia casa francese. Così ha deciso di non lavarsi più, per non ritrovarsi come l’ultima volta, immerso nella vasca e riemerso da sotto in un mare inquieto, forse un oceano lontano da casa, circondato da strane piante marine. Il paziente ora ha paura perfino ad aprire una porta o ad attraversare un qualsiasi varco, convinto che al di là ci sia il vuoto, è costretto a lanciare piccoli oggetti attraverso gli usci prima del suo passaggio, e spesso gli oggetti lanciati non vanno lontano ma ricadono ai suoi stessi piedi, altre volte in testa.

Dai memoriali scritti molti anni dopo si avverte la paura per il ritorno delle allucinazioni, Sinforiano è di nuovo in preda ai deliri della geometria, Sfioravo la quarta dimensione, scrive, fino a che il testo non diventa nuovamente incomprensibile.

Testo Mauro Tetti
Illustrazioni Bernardo Anichini

 

 

 

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