A volte succedeva quello che successe quel sabato sera: André, visto italiano e parenti in Francia, aveva appena sollevato la sciarpa fin sopra il naso. Nel piazzale del centro commerciale le gomme di chi cercava parcheggio stridevano, il vento faceva stringere le palpebre a uomini e donne dietro pesanti carrelli e i bambini piangevano per capricci non ascoltati.

Il lavoro di André era scroccare spiccioli nel parcheggio, offrendosi di aiutare a caricare la spesa nel portabagagli. A quell’ora, aveva già fatto il pieno di vaffanculo e tornatene a casa e negro di merda. Sedette su una panchina. Infilò le mani nella tasca del cappotto: quattro euro e trentacinque centesimi. Quando la giornata era così magra, André entrava nella galleria del centro commerciale e camminava con lo sguardo fisso sul pavimento. Non di rado trovava qualche carta da cinque, da dieci e perfino da cinquanta. A volte succedeva.
Quel sabato, sul pavimento che rifletteva le luci delle vetrine e su cui si specchiava l’ondata di consumatori, trovò la chiave di una Renault. La raccolse e tornò fuori.
Iniziò a girare con passo lento il parcheggio, fila per fila, premendo il tasto per l’apertura delle portiere a intervalli di tre secondi.
Alla fine, lampeggiarono le frecce di una Megane Sportour bianca. Salì a bordo. L’abitacolo odorava di nuovo: niente polvere, niente posacenere e sigarette, niente deodoranti né scontrini. Escluso il Telepass sul parabrezza e una confezione di siringhe per insulina abbandonata sul sedile posteriore, sembrava la stesse ritirando da una concessionaria. Col motore si accese anche il Gps. Il navigatore definì un percorso. André ingranò la prima e lasciò il parcheggio.
Nei successivi dieci chilometri saggiò le prestazioni del motore diesel della station wagon: urlava che era un piacere.
*
Poco dopo, la signora Razzauti vagava per il parcheggio del centro commerciale. Sentiva che il sudore era già arrivato al giaccone di lana cotta. Il tacco della scarpa destra la tradì, si storse una caviglia e rovinò per terra. Nella caduta, si provocò un’escoriazione su entrambi i palmi delle mani e la busta della farmacia con le dosi di insulina scivolò nel buio sotto una macchina.
Strisciò sotto l’automobile e recuperò il tutto. Poi si rialzò, cacciando un urlo. Sfilò l’altra scarpa e la gettò in avanti. Alla scena assistette, a bocca aperta, un pensionato che aveva appena finito di caricare la spesa nel bagagliaio.
Elvira Razzauti aveva cinquantasei anni e non aveva mai lavorato in vita sua. Moglie dell’ammiraglio in pensione Tullio Razzauti di anni settantadue, si teneva in forma andando in palestra tre volte a settimana. Non aveva figli. Divideva il suo tempo tra il volontariato al canile e Penny, una deliziosa Pralish delle Fiandre di tre anni d’età.
Zoppicò fino al limite est del parcheggio, si appoggiò col sedere sul cofano di una macchina e pianse e singhiozzò e si graffiò il volto con le unghie per cinque minuti buoni.
Una volta ritornata in sé, cercò il cellulare nella borsa. Si avvicinò a un lampione per vedere meglio. Esasperata, vuotò l’intero contenuto per terra. Non si accorse che mancavano le chiavi della macchina. Erano rimaste impigliate in una borchia e poi erano scivolate per terra, nello stesso quadrato di pavimento dove le aveva ritrovate André.
Recuperato lo smartphone compose un numero, attese, poi disse: “Dove sei?”.
“Davanti all’entrata est.”
“Hai trovato la macchina?”
“No. Te l’avevo detto, tesoro: l’avevamo lasciata nel settore F3. Difficile che mi sbagli.”
“Aspettami lì. Ti raggiungo.”
Davanti l’entrata est c’era Carlo Emilio Scardigli, personal trainer di due lustri più giovane di lei. Aveva in mano un badile appena acquistato al Leroy Merlin. A furia di batterlo per terra, la punta nera aveva perso la vernice. Disse: “Ho pensato una cosa”.
Elvira Razzauti riprese a frugare nella borsa.
Scardigli disse: “Ho pensato che forse è meglio così”.
“Taci.”
“Che c’è?”
“Tullio mi ha installato il satellitare sul telefono.”
*
A Dakar, André aveva fatto per un anno l’autista di dirigenti d’azienda stranieri. La sua patente non aveva validità in Italia né, a dire il vero, in Senegal dal giorno in cui investì un podista.  Ad André piace correre veloce.
Prese l’autostrada a Prato Est. Il navigatore indicava di andare dritto fino all’uscita di Firenze Sud. Ponte a Ema, poi via Chiantigiana: un pezzo di periferia residenziale ridisegnato sullo schermo del Gps in blu e rosso. A meno di un chilometro dalla destinazione impostata, perse il controllo in curva e sbandò. L’auto si esibì in un rumoroso testacoda e si piantò in mezzo alla carreggiata. Non passò nessuno.
André accostò e spense il motore. Slacciò la cintura. Chiuse gli occhi. Il silenzio era una coperta fredda, strappata da una macchina che passò veloce, spostò l’aria e fece barcollare la Megane.
Decise che ne aveva abbastanza e aprì lo sportello con l’intenzione di andarsene a piedi. Appena sceso, sentì come un lamento.
Si portò le mani al volto, stropicciandosi gli occhi più volte. Il lamento continuava. Veniva dal bagagliaio.
André lo aprì e fece la conoscenza dell’ammiraglio Tullio Razzauti, che proprio in quel momento riemergeva per un attimo dal coma glicemico per poi affondarci a un livello più profondo.

*
Carlo Emilio Scardigli buttò giù da una Panda una ragazza che aveva appena avviato il motore e partì a tutta velocità. Elvira salì a bordo e non fece in tempo a tirarsi dietro lo sportello, che si chiuse con la spinta dell’accelerazione.
Nella fretta, il badile fu dimenticato nel parcheggio.
“Dov’è?”, disse lo Scardigli.
“All’altezza di Firenze Scandicci. ”
Imboccarono l’autostrada.
Lo stereo diffondeva a basso volume “Comin’ Home Baby” di Herbie Mann. Tutto l’abitacolo tremava per la velocità. Anche la signora Razzauti tremava, ma non se ne accorse. Era troppo concentrata sul cellulare. Dopo cinque minuti di silenzio disse: “È praticamente sotto casa”.
“Dici che Tullio si sia svegliato e abbia guidato fino a casa? Davvero? Comunque te l’avevo detto che era meglio comprarla prima l’insulina, ché non bastava…”
“Taci. Il ladro, la macchina, sono sotto casa.”

*
André camminò avanti, indietro e intorno alla macchina. Si mise a correre per quasi un chilometro, poi tornò indietro.
In quel momento Scardigli sgommava uscendo dal casello di Firenze Sud.
André aveva visto un cartello che indicava la direzione per l’ospedale di Santa Maria Annunziata. Montò in macchina, avviò il motore e fece un’inversione a u.
“Eccola, oh!”, disse lo Scardigli.
La signora Razzauti aveva le unghie piantate nelle ferite delle mani. Avvistarono la Megane all’altezza della rotonda di via Benedetto Fortini. La seguirono a tutta velocità. In prossimità dell’entrata del pronto soccorso, la Renault rallentò per preparasi a svoltare e così anche Scardigli.
Elvira poggiò entrambe le mani sul ginocchio destro del suo personal trainer e lo schiacciò con tutta la forza che aveva in corpo. La Panda urlò in seconda e andò a tamponare la Megane. I pantaloni di Scardigli si macchiarono del sangue della signora Razzauti. L’ammiraglio dentro il bagagliaio si fratturò il setto nasale. André, costretto a rimanere su via dell’Antella, imprecò, accelerò e guadagnò i 90 km/h in pochi secondi.
Elvira Razzauti disse: “Seguilo, cazzo. Seguilo, seguilo, seguilo!”.
“Tu sei matta.”
“Taci.”
André li ebbe alle calcagna per qualche chilometro. Per quanto avesse a disposizione un motore più potente, la strada non gli permise di staccarli. All’altezza di Osteria Nuova vide nello specchietto la Panda sbandare e finire contro un muretto su cui c’era scritto in viola: “Juve Merda”.
Qualche istante prima, Scardigli aveva assestato un manrovescio tra orecchio e guancia della signora Razzauti per placarne la crisi isterica. Elvira reagì saltandogli addosso. Quando il ragazzo senegalese tornò indietro e li trovò entrambi riversi sul cruscotto, imprecò una seconda volta. Tirò furori Elvira e la sistemò sul sedile posteriore della station wagon. La terza bestemmia fu per 95 kg di Scardigli.
*
André dette all’infermiera appena il tempo di sgranare gli occhi davanti ai tre feriti nell’automobile bianca parcheggiata davanti l’accettazione. Sgusciò fuori dal pronto soccorso e imboccò via dell’Antella.

Non si voltò neppure. Negli anni a venire, avrebbe ricordato di aver corso per tutta la notte.

Testo: Fernando Fazzari
Immagine: Emanuele Arnaldi

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