Li Ciddì Invisibili presenta

 

ARTISTA: Joaq and the Land
DISCO: Seven and 7
ETICHETTA: Soiled
ANNO: 2013
GENERE: Alt math rock, Elemental post-rock
VOTO: 8

Da diversi anni le gesta dei Joaq and the Land riecheggiano tra i blog di mezza europa.
La caratteristica che fa strappare i capelli dei loro fan è l’utilizzo di tre palchi durante i loro rari live set.
Il pubblico nel mezzo dei tre palchi si ritrova protagonista di una esperienza sensoriale multidimensionale e avvolgente.
Il palco centrale,  quello teoricamente di maggiore richiamo, vede tre percussionisti defilati ai lati – e armati non solo di batterie ma anche di marimba, cajon, tabla, caisa e oggetti d’uso comune come tubi di scolo e bidoncini della spazzatura modificati – avvicendarsi  agli strumenti e stendere basi ritmiche ovattate ed esoteriche. Nell’area di mezzo si esibiscono danzatori moderni e alcuni cantanti che talvolta si alternano in litanie incomprensibili di stampo chiaramente islandese.
Sui rimanenti due palchi che avviluppano gli spettatori completando l’enneafon√¨a (3 canali per 3 palchi) si avvicendano gli altri 6 strumentisti, tra chitarre, basso, archi e tastiere a profusione.
Dietro di loro fenomenali proiezioni di frattali e di natura, sincronizzate alle ritmiche algebriche e inquietanti.
Se i Tool facevano uso di sequenze numeriche nelle loro metriche testuali e compositive, anche Joaq and the Land sono permeati di numericità.
Affascinati da Descartes e Fibonacci, cultori di Riemann e Turing il triplo trio (!!!) danese trova linfa dalle cifre come naturale codifica della vita.
L’apertura del nuovo disco è assegnata a “Homotetic”, tratto d’unione tra questo Seven and 7 e il precedente e fortunato “Arythmic Pulse”, dove il collettivo preferisce non dispiegare subito tutti i mezzi a disposizione, ma partire lento per lasciare piatti ben più succulenti al resto del disco.
La seconda “The Land Of The Three” è una perla di scuola Sigur Ros che dopo un cadenzato quanto interminabile saliscendi emotivo esplode in ruggiti chitarristici di epica magniloquenza.
In “Spring ’13”, dedicata ai tragici disordini in Spagna e Francia, si avverte appieno la discesa nell’oscurità che Joaq and the Land vogliono trasmetterci. Alcune campane tibetane rintoccano un ritmo dispari per un piano lugubre e per la voce splendida si Kristine Ligier, quanto basta a riempire di vuoto il cuore e a far versare una lacrima.
Ancora diversa è invece “Collapse and Rebirth”, un baccanale in cui tutti i membri del gruppo, suonano uno strumento ad arco in tempi diversi fino a ricongiungersi nell’ultimo giro del pezzo, il tutto accompagnato dai gorgheggi asimmetrici della Ligier e di una Vivien Foster in grande spolvero.
Lo strumentale “Rain Will Fall On Us” chiude i 58 minuti di Seven and 7, a testimonianza della grande padronanza dello spettro emozionale facilmente adattabile a situazioni cinematografiche in possesso dei danesi.
Iconografia scarna, fenomeno lontano da hipsterismi ma cresciuto esclusivamente sulla rete, Joaq and the Land si inseriscono tra la tradizione post rock, certo dark e il math rock.
Non spazzeranno – per ora – l’ombra gettata dalla monumentale presenza dei Sigur Ros, ma ne rivedono buona parte degli schemi.
Forse non li vedremo mai dal vivo in Italia ma chi ha voglia di una rivelazione forse ha trovato un piccolo grande tesoro.

Testo: Marco Scaltriti
Immagine: Bernardo Anichini

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