Che dici, funzionerà? Ciavosky è fiducioso che le bestiole associno la gaiezza del ballo all’ingestione, così che almeno possano nutrirsi quando sentono di ballare, ché lo sentono spesso, quello stimolo, come quello d’accoppiarsi alla maniera dei mammiferi. Quei due però figurati, Gamma-47 e Omega-82 non hanno capito un bel niente, due minuti dopo stavano già pisciando dalla torre di guardia, un eterno fiume di piscio dall’odore di plastica bollita concimava la roccia, e giù fino alla piana delle catinelle, lì dove si abbeverano i barbagianni guerci all’ora media d’ogni domenica di settembre, ché forse per questo son guerci, per il piscio delle muscengole, e per l’ora media a cui non son certo avvezzi.
Che dici funzionerà? Dice sempre così, Ciavosky, e io non ho di che rispondere.
Quattro giorni fa ha provato a infilare il fallo di Omega-82 in una luccicante vagina elettronica, lui si è eccitato subito, figurati, e il dispositivo gli ha contato ben otto pernacchie di sperma stimando un paio di cuccioli per pernacchia e evidenziando movimenti regolari nelle code degli spermatozoi. Ma queste sono solo un mucchio di vecchie teorie, superate. Ormai lo hanno capito tutti che l’assenza di fame non è regolata da alcun battito di coda aritmico di uno spermatozoo, e io proprio non capisco perché Ciavosky si ostini a tentare accoppiamenti con quella dannata vagina, ché fa pure tanto rumore durante l’amplesso e puzza di lubrificante sfatto. Eppure Ciavosky, testardo com’è, dice che la verità è lì vicino, a due balzi d’intelletto, s’è proprio fissato con i movimenti di coda. Dice che gli scienziati hanno accantonato la teoria della coda aritmica troppo presto, che curerà l’obesità, che gli daranno il Nobel, eccetera eccetera. Le sta provando proprio tutte, sant’uomo di un Ciavosky. Ah, eccolo che si avvicina sventolando due carte, gobbo e industrioso, pare che abbia trovato qualcosa in uno spermatozoo di Omega-82, una scriminatura sulla coda, urla. Una scriminatura? Sì, sì, una scriminatura, giustappunto a mezza coda. Bella, guarda qui, fa la coda come una testa pettinata. Ciavosky non l’ha mai avuta, la testa pettinata, credo proietti i suoi mezzi desideri sull’inerme cavillo di sperma. È ostinato, mi sbatte in faccia l’immagine presa dalla circuiteria della vagina, io non posso non guardarla, lui insiste troppo, però vedo il solito filo di coda che mi ha mostrato duecento volte, lui mi guarda e cerca conferme, e quando fa così, non so come dire, ha lo sguardo di un Belzebù redento.
“Vedi che questo spermatozoo ha due teste? Qui, la vedi la riga? E l’altra la vedi? Su in cima, la vecchia testa dico, vedi com’è bella liscia? Due teste! Ho trovato il doppio!”
Oh Dio, fra poco s’arrovellerà con qualche liaison tra testa numero due e assenza di fame, ne sono certo, è meglio che lo fermi adesso, lo devo fermare, qui è davvero finita e lui non capisce. Il doppio, certo, non riusciamo che a vivere di pretesti, ormai.
Che dici, funzionerà? Cosa Ciavosky, la doppia testa? Io non vedo che uno strappo di coda qui, e pure più magra delle altre, e no, non vedo nessun’altra testa, nessuna, e anche se la vedessi, se ci fossero due teste brute con gli occhi traversi, due grandi teste quanto due bocce, cosa accadrebbe? Nulla. Sono po’ duro, lo so, Ciavosky butta la mano in alto e si gira, torna in laboratorio ed è un po’ offeso, gli capita spesso, zoppica con il piede storto, maledette goccioline di nitrato d’ammonio di giovani esperimenti d’adolescenza nerd. Gli saltò l’alluce qualche decade fa e non gli è più tornato, gli sta così bene il piede senz’alluce, l’asimmetria sporca gli dona proprio. Ha ormai l’età delle bazzecole, il dottore, della cataratta, e forsanche dei pannetti sporchi. Oh… e del Nobel, certo.
Povero vecchio scienziato. Sta’ qui, resta, non possiamo fare niente, Ciavosky, abbiamo fallito di metter fame in questi corpi, e adesso basta, basta con i pretesti, abbiamo fallito nel compito di mettergli l’istinto per farle buone bestie. Aggiustati i capelli, quei pochi che ti restano, datti un contegno, io non lo voglio vedere il dolore in un corpo vecchio; dai, sta’ su, sta’ qui, diritto per favore, ché il signor Lì non abbia a vedere che t’accasci, sta’ su, ti prego, su. Devo… Devi cosa, Ciavosky? D… devo finire con Omega-82, io… devo finire. Ciavosky prende la pinzetta a U e infila un altro cubetto in quell’esofago addomesticato all’accatto, ne bastano tre, solo tre cubetti per un pasto completo. Omega-82 digrigna i denti. E trema. Gli tremano piedi, gambe, ventre, braccia, mani, e collo, molto collo, tanto da espellere due cubetti con la violenza di un atto di forza. Ciavosky gli passa uno straccio sulla fronte. Suda. Per la prima volta mi sembra tutto volontario, umano, corruttibile. Ciavosky prova con l’ultimo pezzo di porco, Omega-82 vomita ancora, e vomita, strano a dirsi, con il volto rilassato, quasi incapace, un lascito di muscoli che si muove giù per gli zigomi in un fischio, è il suo verso, quello, un fischio mogio al cui cenno Cassandra, con un frullo d’ali, gli salta tra i peli lunghi della groppa. Io e Ciavosky dovremmo cantare qualcosa, così ci pare, eppure l’unico rumore che ci viene è di tener ferme le corde, è la prima volta da quando son qui che provo vergogna, l’avevo lasciata a casa, quest’onta, e adesso ricompare dinanzi alla criniera morbida di una giovane muscengola.
Omega-82 ci dà il culo e galoppa, galoppa o come diavolo si chiama quel suo modo sgraziato di prender corsa, imbocca la via della piana delle catinelle tenendo il passo. Saliamo alla torre, io e Ciavosky, respiriamo a gradini alterni, Ciavosky ha l’affanno, il respiro si fa strano e sa di mezzo, ma ormai siamo in cima, non c’è tempo per mozzarlo adesso; se è finita, che la si veda, la fine. Quant’è bello l’orizzonte della piana da qui, il tratto lontano, la luna che l’accende di asciutte tenerezze, la sabbia che sottrae rumore alle crespe del lago e a qualche saltello d’animale d’acqua dolce e piscio, e tanti, tanti alberi di pesco, un firmamento di frutta che dà simmetria ai corpi celesti. Laggiù, coperto dall’arbusto più a Nord, Omega-82 gioca con Cassandra al filo più lungo, o alla pietra più grossa, si lanciano scarti di roccia, s’abbracciano, si tengono stretti; un frutto grasso prende la via della terra, fa l’impronta e si affossa. Omega-82 s’accuccia sull’avvallamento, guarda un ramo e si siede con la testa alta. Guarda, mio caro Ciavosky, guarda lì, lo vedi cosa sta facendo? Cosa, non vedo… Lì, sotto l’albero, Omega-82 sta covando, lo vedi? Sta covando un ovetto di pesco. La bestiola fa un riso sottile, sembra ci stia guardando, si toglie l’invisibile dal muso con la zampa, come gli ha insegnato Ciavosky, chiude gli occhi e sbatte le labbra come un infante che vuole latte.