“Da qua, ci penso io.”
Luca e quella macchina fotografica erano in conflitto fin da quando lui era giusto un cigolio di materasso e aveva vinto, e adesso cosa voleva ancora? Assestare il colpo di grazia al nemico mortale? Marta si era accovacciata ad abbracciare suo figlio. Nonostante le proteste lo aveva baciato sulla vertigine al centro della testa, poi nel rialzarsi aveva allungato una mano alla tasca dello zaino e chiuso la clip.
Appena finiva al bancone faceva il giro in bici per fotografare i cartelloni dell’agenzia, era il modo in cui certificavano il lavoro compiuto ai committenti. Si trattava di trentadue scatti, ma lei rimaneva in giro a fotografare per tutto il pomeriggio. Verso le otto passava per l’agenzia e scaricava le trentadue immagini nel computer di Guido, il titolare.
Se non c’era gente, Guido guardava le altre foto scattate da Marta. Le faceva scorrere sullo schermo cliccando veloce la freccetta della tastiera. Faceva hmm, si grattava le guance grigie per la ricrescita della barba, stringeva la radice del naso tra l’indice e il pollice.
Erano brutte? Lo stavano annoiando? Lui diceva sempre che Marta doveva fare una scelta, che non si diventava fotografi dietro il bancone di una salumeria; ma sempre più spesso usava una di quelle foto per i lavori dell’agenzia. Marta tornava nella casa per studentesse. Il suo letto cigolava. Leggeva i testi di storia dell’arte presi in prestito alle coinquiline. Ripensava alla parole di Guido sulla necessità di fare scelte: “Il mondo è una cartina geografica, mari e laghi e montagne stupende, ma l’occhio cadrà sempre sulle linee tratteggiate e la gente si domanderà sempre da che parte stai.”
Con qualcuna di quelle ragazze Marta si vede ancora oggi, hanno a loro volta figli che Luca tratta come cugini, e mariti che sono ancora i migliori amici del suo.
Luca aveva quindi messo insieme le due cose, spazzatura e l’arte della segnalazione d’emergenza. Ne era uscita fuori lei.
“Che idea balorda – disse l’uomo a Marta – credere che una familiare possa correre libera dove vuole. O sei una cosa o sei l’altra. Di qua o di là, punto”.
“Ti ho cresciuta io, come fotografa, in questi due anni. Ogni volta che un tuo scatto sarà su una rivista, sarà una tacchetta anche a mio favore. Devo scegliere fra te e un uomo, perché devo essere sicuro della completa disponibilità dei miei collaboratori più importanti.”
“Ho un’idea migliore – disse lei rigirandosi – facciamo il bagno. Sì, facciamo il bagno, prima di ogni altra cosa”.
Perché ti stai accanendo?, pensa.
Marta rimane seduta non sa quanto. Schiacciata sulla sedia da un macigno di pensieri che non riesce a coagulare in un’idea da mandare giù, da digerire. Prova a trattenere il macigno nello stomaco per evitare la valanga. Ma forse è lei stessa quel macigno e quindi c’è poco da ingoiare. C’è solo da rotolare, fare venire giù tutta la montagna.
C’è una voce di donna che dice: “Mettetevi vicino alla finestra a studiare” seguita dalle lamentele di un ragazzino dalla voce un po’ rauca.
Il portoncino condominiale si richiude. Deve essere Michele. Marta pensa che se è Michele, magari può ancora fermarlo. Pentole che cascano chissà in quale appartamento. Le sembra davvero stupido avere insistito con la storia della fotografia. Per mettere in chiaro cosa? I due ragazzini che studiano alla finestra hanno preso a litigare, dei due una è femmina e più piccola e piange. L’idea di Michele che gira il mondo non la fa ridere, neanche figurarselo con lo zaino tecnico corredato da pentolini e sacco a pelo. Averlo ferito non le da soddisfazione. L’attrezzatura da campeggio le porta alla mente Luca che come prova finale del campo scout dovrà rimanere una notte nel bosco, dopodiché non sarà più lupetto ma esploratore.
Il capo-scout le ha spiegato che: “Il ragazzo non resterà mai davvero solo, ma crederà di esserlo”.
L’uomo, in bermuda e scarpe da trekking, aveva continuato a descrivere la prova tenendo le gambe larghe e le braccia ai fianchi. Lei non si capacitava, non capiva neanche perché doveva proprio chiamarlo il ragazzo se invece era solo un bambino.
Il giro del mondo zaino in spalla, pensa Marta. Perché tu, poi, e non io.