coactus fidei

Contrazioni muscolari. Disforia. Sudorazione disordinata. Presenza cospicua di ragni, furetti, rane, un cammello, altri animali, una suora. Emerenziana. So chi è, ricordo chi sono. Sono lucido. Mi sono presenti, in modo netto: i ragni, le riflessioni sul libero arbitrio, la mia paura dei ragni.
“La ragnatela, Emerenziana; toglimi questa ragnatela dal viso per favore.”
“Non c’è alcuna ragnatela, Eminenza.”
“Sei dispensata dal chiamarmi Eminenza e lo sai. Perché ti ostini a darmi del voi?”
“Non c’è alcuna ragnatela, sono gli effetti della cocaina.”
“Il cuore non reggerà.”
“Reggerà. Come sempre.”
Non posse non mori e non posse non peccare.
Mi sono presenti, in modo netto: i ragni, la lettura di sant’Agostino alla quale mi dedicavo appena ieri sera onde servirmene per la stesura di un’omelia, alcuni esemplari di fauna esotica.
“Siete di ottima tempra. Il Vescovo Vostro padre è vissuto quasi novant’anni e la signora contessa Vostra madre ancora si occupa personalmente di opere di carità presso gli indigenti.”
“La mia testa però è già esplosa.”
“Se fosse esplosa non citereste Agostino con tanta pertinenza, per quanto invochiate la liberazione da una ragnatela inesistente.”
“La ragnatela è disfatta: l’ha appena bucata una locusta. Sei l’unica in questo convento con cui io possa discutere in maniera franca di libero arbitrio.”
“Mi è sempre parso evidente che nemmeno il concetto di ‘predestinazione’ nell’apostolo Paolo abbia inteso scalfirlo.”
“Sto lavorando a un’omelia di tale intensità che non mi concederò di proporla ai fedeli.”
“Lo so. Ho trovato un brogliaccio tra la Vostra roba e mi sono permessa di leggerlo.”
“Mi ci dedicavo giusto ieri sera.”
“Impossibile: siete qua da tre giorni ed è la prima volta che riprendete conoscenza.”
“Ho dovuto smettere per via dei ragni. Apibus inimica est nebula, aranei quoque vel maxime hostiles. Lo scrive Plinio il Vecchio nella Naturalis historia.”
“Il che aggiungerebbe elementi a favore della Vostra ridicola fobia, se non fosse che non siete un’ape…”
“Un ragno, in particolare, enorme, rosso e azzurro, mi scompigliava i fogli.”
“Come preferite, Eminenza. In ogni caso, vorrei discutere con Voi a proposito di un passo.”
“Sono sfinito. Il momento non è opportuno. Inoltre, sei dispensata dal chiamarmi Eminenza. Perché ti ostini a darmi del voi?”
“Per mantenere le distanze.”
“Eppure io ti ho sempre dato del tu.”
“Non posso impedirVelo. Proprio come Voi non m’impedirete di condividere adesso la lettura del passaggio che mi ha colpita.”
Suor Emerenziana scosta il panneggio d’una tenda consentendo a un empio fiotto di luce di accoltellarmi gli occhi.
Con ciò sia cosa che, dunque, la vita si sceglie – sono mie le parole che la voce della suora cava da pezzi di carta stropicciati – Con ciò sia cosa che, dunque, la vita si sceglie”.
Ricomincia: “O, per dir meglio, si sceglie la condotta colla quale portare al guinzaglio la propria vita, sebbene nel confine stabilito dalle circostanze che il Signore Dio nostro sapientemente atque amorevolmente delibera per noi fin dal concepimento, eleggendo a nostro nido quello preparato da una o dall’altra famiglia, ponendoci in un luogo fecondo o adusto, dotandoci di un patrimonio consistente o generandoci privi affatto d’ogni sostentamento materiale, attribuendoci facoltà mentali acute o pochezza d’ingegno”.
Continuerà? Ho freddo, voglia di correre, paura di morire, caldo. Muggisco, sbuffo, strogolo ma la voce inclemente della suora seguita a testimoniare la mia dannazione non animale di generare parole.

La cocaina non è stata un incidente di percorso. Gli studi del dottor Freud circa l’assunzione del medicamento, le sue dissertazioni sulla farmacodinamica e sulla farmacocinetica da troppo poco tempo sono stati smentiti e quando iniziai a consumarla, dietro consiglio d’illustri scienziati e amici, mi sembrò la soluzione di numerosi mali che m’affliggevano l’anima. Col tempo, rese in parte più sopportabili i sintomi della sifilide ma in certa misura li amplificò.
Dal soggolo, Suor Emerenziana continua a parlare a voce alta le tentazioni che misurai per l’omelia: “Nulla dobbiamo ricusare delle condizioni offerteci dall’esistenza perché ciò significherebbe ricusare la volontà dell’Eterno; ripudiando la nostra vita noi ripudieremmo Lui. Ciò nondimeno l’uomo è libero e questo è, nel medesimo tempo, il grande dono e l’eccelso ostacolo che il mistero dell’incarnazione comporta”.
Sul pulpito, non improvviso mai.
Nemmeno lo fa, nella vita, Emerenziana. Nata: Leonie Keller. Formatasi in Svizzera, sconfessò deliberatamente la dottrina calvinista secondo la quale era stata allevata emigrando in Germania, dove si pose al servizio di Santa Romana Chiesa, e poi trasferendosi in Austria onde esercitare la propria missione in questo convento di clausura dove sono solito cercare riparo e conforto quando eccedo nel consumo di polvere.
Durante il supplizio che la sua lettura m’infligge tutto si fa per me all’improvviso esplicito.
“In Cristo sono la carne dell’uomo e la parola di Dio”, dico, e il mio timbro è nitido e fermo, il mio sguardo diretto, i miei gesti controllati, gli araneidi spariti.
Tuttavia bisogna rimanere moderati se si vuole evitare l’imputazione d’eresia.
“Il Figlio dell’Uomo conferisce dignità alla nostra natura e si fa tramite per il dialogo con lo Spirito.”

Emerenziana è una delle poche sorelle con le quali io non abbia ceduto ai desideri della carne. Non per mia volontà – ché sempre l’ho trovata appetibile nelle forme e nel profumo – ma per la sacra pronuncia di Dio che, nella Sua prudenza, l’ha predisposta a cercare il piacere unicamente nei corpi non dissimili dal proprio.
Da Cardinale, avrei potuto esigere anche quel che ella non era naturaliter incline a concedere, eppure ho sempre esercitato il mio potere con savio progressismo, certo che la compassione sia principio degno di guidare i passi di ciascun vivente. Con compassione ho guardato a me stesso e al mio destino e così ho voluto fare con le anime che l’Altissimo ha posto sul mio cammino acciocché potessi essere per loro un illuminato e buon pastore.
Chiamiamo ὑποκριταὶ coloro che sul palcoscenico recitano un ruolo per commuoverci fino al dolore e condurci alla luce della resipiscenza; e quegli stessi noi vediamo trasformarsi in spettatori del miracolo che si produce nei nostri cuori allorché godendo e piangendo ci incamminiamo nei campi ubertosi della salvezza eterna. Così nello stesso modo gli spettatori si fanno attori della propria commedia che, con ipocrisia e per convenienza, sono soliti appellare tragedia.
È ancora il Santo d’Ippona a venirci in sostegno quando del suo viaggio a Cartagine oltre alle bramosie d’amore rammenta la fascinazione esercitata dal teatro, con la sua messa in scena del dolore che fa piangere godendo.

manuela schiano 1

La teologia non è, come credono gli stolidi, un insieme di principi che s’apprende sui libri. Soltanto l’esercizio dell’intelligenza applicato all’umiltà di rendersi docili allievi di questa buccia carnosa e caduca dello spirito, che verrà inumata, può sfociare in un sistema di pensiero sul mondo, in una sua lucida esegesi intessuta parimenti di dottrina e d’amore.
Al cursus ecclesiastico ero fatalmente destinato.
Per causa di talune spiacevoli inimicizie e cabale, mio padre, Vescovo emerito di una ricca Diocesi, non poté fare carriera e orientò dunque i proprii sforzi e indirizzò dunque le proprie frequentazioni a garantire il successo della mia.
Mia madre, tanto più giovane di lui, era una nobildonna italiana di morigerati principi e già sposa di un uomo troppo vicino a Francesco Giuseppe perché si ritenesse consono lasciarmi crescere come suo figlio legittimo nel momento in cui si venne a sapere della relazione adulterina tra i miei genitori; pertanto fui subito trasferito in un convento, questo stesso dove adesso giaccio. Alcune consorelle erano donne di vasta cultura e mente aperta, a loro volta amanti di mio padre e talora madri di miei fratelli naturali ai quali però fu riservata, per ragioni che ignoro, la fortuna di essere dati in adozione a famiglie di contadini che necessitavano di braccia.
Fu davanti alla scena di un povero giovane picchiato a sangue per aver rubato del pane che cominciai ad apprezzare il senso del dolore come rappresentazione.
Il fornaio, accortosi del furto, l’aveva inseguito e, raggiuntolo, infieriva pubblicamente sul suo corpo a mezzo di una verga sottile; frattanto, con voce stentorea, da attore provetto, si peritava di commentare ogni frustata col racconto dell’accaduto acciocché esso fosse manifesto per i passanti che andavano fermandosi a osservare. I più parteggiavano per il fornaio ma dei pochi convinti che il ragazzo fosse più un disgraziato che un ladro nessuno prese una posizione in sua difesa: si limitarono a borbottare di nascosto e tutto sommato andarono via contenti – o almeno così mi parve – più che altro d’avere qualcosa da raccontare ai parenti e agli amici.
Un episodio insolito ed educativo, un diversivo, un piccolo spettacolo. Avevo sedici anni e le tappe del mio curriculum religioso erano già tracciate. Decisi di aderirvi senza riluttanza e tuttavia senza partecipazione.

“Che ne è del Tiergarten che da Schönbrunn pareva essersi trasferito in questa stanza?”.
“Cosa vedete adesso?”
“Il tuo corpo, il mio corpo e un sobrio susseguirsi di legni scuri.”
“È tutto ciò che i nostri organi di senso hanno effettivamente a disposizione in questo momento.”
“Ci conosciamo da trent’anni, sai ogni cosa di me, hai ascoltato ogni mio delirio, asciugato il sangue quando mi mordevo le labbra con troppa forza…”
“Ragioni tutte che argomentano la mia sprezzante estraneità al Vostro modus vivendi.”
“Voi lesbiche siete tutte algide.”
“È possibile. Del resto, voi erotomani siete tutti disgustosamente caldi.”
“Abbiamo già affrontato questi discorsi?”
“Li abbiamo affrontati, Eminenza. Spesso nei medesimi termini.”
“Trovi uggioso occuparti di me?”
“Enormemente.”
“E perché lo fai?”
“Spero di espiare così i miei peccati.”
“Ne hai commessi molti?”
“Più di quanti Voi siate disposto a riconoscerne, Eminenza.”
“Li hai goduti?”
“Tutti.”
“Credi dunque di dovere espiare con più forza di altri?”
“Non provo il menomo interesse nei confronti della coscienza altrui; rispondo alla mia e ciò è già fin troppo gravoso per i miei nervi.”
“A voi femmine del Clero, almeno, è risparmiato l’oneroso ufficio delle confessioni.”
“Giustappunto. Consentirete perciò ch’io approfitti di codesto privilegio senza provarne colpa.”
“Non sento più il braccio destro.”
“Passerà.”
“Qual è la tua posizione sul libero arbitrio?”
“Bisogna essere abbastanza umili da possedere un proprio Dio.”
“Tu lo sei?”
“Questo fetore che improvvisamente ha invaso la stanza è il prodotto estemporaneo dei Vostri intestini?”
“Non riesco a percepire gli odori tuttavia avverto qualcosa di caldo tra le gambe…”
“Allora… sì.”
“Sì, si tratta delle mie feci?”
“No, rispondevo alla domanda che mi avete fatto prima: credo di essere abbastanza umile da possedere un mio Dio.”
“Non ti pare una risposta blasfema, considerate le circostanze?”
“Nient’affatto.”
“Riesaminerò la cosa dopo il Conclave che potrebbe elevarmi al soglio di Pietro.”
“Conclave? Davvero si prepara un Conclave? Il nostro Pontefice è dunque vittima di un graduale avvelenamento?”
“Hai a cuore le sorti di questo Papa più delle mie?”
“Quando mi risolsi a prendere i voti sognavo di rimanere una suora semplice, addetta alla cucina o alle pulizie. Non immaginavo che sarei stata destinata alla penosa missione di conoscere così tanti impronunciabili segreti e a osservare la marcescenza di tutte queste piaghe nel corpo di nostra Madre Chiesa.”
“Il Signore ha scelto per te il destino, il Signore ti chiede di esercitare l’ubbidienza in questo modo.”
“Porto la croce come meglio posso.”
“Sei una buona donna, Leonie.”
“A quanto pare non riesco a farne a meno. Tuttavia potrei sorprendere il destino ed entrambi noi con una reazione insospettabilmente dura se non desistete subito dal rivolgerVi a me col mio nome secolare. Mi chiedo se quel Vostro dottor Freud assuma ancora cocaina.”
“Si dice in giro che vada smentendo le voci circa la sua efficacia, considerandola alla stregua di un divertissement giovanile.”
“Mentre Voi siete ancora qua a farvene tormentare!”
“È il mio destino. Una forma di rappresentazione come qualsiasi altra.”
“Rappresentazione? Peccato che io sia la Vostra sola spettatrice.”
“Sei una spettatrice avveduta e ricettiva. Domineddio è stato con me più magnanimo di quanto meritassi.”
“Il fatto che io Vi detesti non cambia nulla?”
“No.”
“Mi togliete un peso dal cuore. Temevo infatti che ciò aumentasse il Vostro amor proprio rendendomi strumento per la discesa all’Inferno cui senza dubbio Vi accingerete dopo la morte.”
“Noi due ci incontreremo lì in ogni caso: non abbiamo possibilità veruna di accedere al Paradiso.”
“Io per me non perdo le speranze.”
“Non sottovaluterei le conseguenze acherontee della tua stravagante curiosità di osservarmi il cazzo a lungo quando credi che io dorma.”
“Me lo rinfacciate o Vi rallegra?”
“Il potere, Leonie. Tu e io coltiviamo la iattura del potere che ci è toccata in sorte al meglio delle nostre possibilità. Nascondere, tacere, dissimulare. È l’esercizio che l’istituto della Chiesa ci insegna con immutata coerenza. Da un grande potere derivano grandi responsabilità”.
“Eccellente considerazione.”
“Avrei voluto formularla io. Devo ammettere invece che me l’ha suggerita l’enorme ragno rosso e turchino.”
“Dov’è adesso?”
“Da qualche parte, a combattere il crimine.”
Quelle merveille!”
Marvel? Che cosa significa?”
Merveille, Eminenza: è francese, significa meraviglia; che meraviglia!”
“Credo che riposerò un poco, se avrai la cortesia di tirare gli scuri.”
“Cercate di assopirVi con la luce del sole; quando siete in questo stato rischiate il risveglio in preda alle allucinazioni ogni volta che dormite al buio.”

manuela schiano 2

Testo Francesca Guercio
Illustrazioni Manuela Schiano

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