Non uso calendari. Tempo fa ci ho provato, ma dimenticavo sempre di cambiare mese e dopo gennaio la corrispondenza tra tempo del calendario e tempo del resto del mondo finiva. Ad agosto la pagina era quella di marzo e strappare tutte le pagine insieme per rimettermi in pari non mi piaceva.
Se devo ricordare qualcosa procedo per associazioni: ho aperto le lenti a contatto due giorni dopo l’esame di semiotica, la bolletta della luce scade il giorno prima dell’inizio dei saldi, ho perso la voce la sera che in tv davano Psycho.
Non mi sono preoccupata. Da piccola ogni tanto mi succedeva di perdere completamente la voce dopo qualche giornata di mal di gola. Passata una settimana tornava tutto normale. Così aspetto.
Ci sono degli inconvenienti, come essere obbligati ad ascoltare passivamente chi alla fermata si lamenta del ritardo dei mezzi o la commessa bionda del supermercato sotto casa che approfitta del mio mutismo per darmi due buste in più di quante ne servirebbero, cinquanta centesimi l’una.
Sara è una mia amica del liceo a cui da qualche anno è venuta la fissa dell’albero genealogico.
“Pensa che bello quando sarà completo”, mi dice.
Io rispondo che sì, sarà bellissimo, ma senza condividere davvero il suo entusiasmo. Qualche settimana fa mi ha mandato un messaggio che diceva: Ho scoperto di avere una prozia sepolta dove abiti tu. Mi manderesti una foto della tomba, quando puoi?
Al quarto giorno di afonia ho pensato che se c’è un posto in cui parlare non serve quello è il cimitero. Mi sono fatta dare le indicazioni necessarie e nel primo pomeriggio sono andata a fotografare la tomba della prozia morta.
La prozia era in una di quelle tombe a cassettoni, al quinto piano. Lapide rosa e nome in un corsivo quasi illeggibile. Lumicino elettrico d’ordinanza e fiori finti un po’ scoloriti. Sono salita sulla scala e ho fatto tredici foto tutte sfocate, poi sono scesa e le ho inviate a Sara.
Non sono andata via subito. Era una bella giornata e passeggiare all’ombra lunga dei cipressi era piacevole. Camminavo seguendo una direzione casuale e ogni tanto mi fermavo a guardare le foto negli ovali dorati.
Stavo iniziando a pensare di andar via quando una signora mi ha chiesto di aiutarla a trasportare un secchio d’acqua riempito fino all’orlo. Ho annuito e l’ho seguita buttandomene la metà sulle scarpe di tela. Ci siamo fermate davanti a una grande tomba rivestita di marmo nero lucidissimo che si è messa a pulire mentre io facevo dei gesti che grossomodo volevano dire “arrivederci signora, è stato un piacere aiutarla, ora dovrei proprio tornare a casa perché si sta facendo tardi e con i piedi bagnati inizia anche a venirmi freddo.”
Lei non mi ha guardata, ma quando ho fatto un passo iniziando ad allontanarmi mi ha detto: “Ma tu non parli?”.
Ho fatto sì con la testa perché sembrava la cosa più veloce, anche se avrei avuto a disposizione una sequenza di mosse studiate il giorno prima che spiegavano abbastanza bene il fatto che avevo solo perso la voce per qualche giorno in seguito a un mal di gola.
“Ah, sei muta, come il servo di Zorro”, mi ha detto.
Ha fatto una pausa e mi ha guardata come cercando delle somiglianze.
“Bernardo”, ha aggiunto.
Poi, approfittando del mio mutismo e del fatto che sarebbe stato maleducato da parte mia andare via mentre lei parlava, mi ha raccontato le previsioni del tempo che aveva visto a pranzo e i fatti salienti della sua vita.
Nel giro di quindici minuti ero venuta a sapere che da piccola aveva un cane che si chiamava Ugo e che a vent’anni aveva conosciuto l’uomo della sua vita, che si era però sposato con la sua amica Clara.
Lei con pazienza aveva aspettato per anni che lui si accorgesse del madornale errore commesso, ma invece era morto qualche mese prima senza rendersi conto dello sbaglio.
“Insomma ha perso tutta la vita con Clara – ha detto la signora mentre lucidava il marmo già lucido, poi ha concluso – Mai aspettare troppo, perdere tempo. Per questo l’anno scorso mi sono fatta costruire questa. Così è pronta. Ti piace?”
Mentre annuivo automaticamente ho guardato di nuovo la tomba. Sotto il nome non c’erano date e mancava la foto.
Dopo la signora è andata a poggiare il secchio ormai vuoto da qualche parte. Io mi sono diretta verso l’uscita e in quel breve tragitto ho visto altre tombe senza date, decine di tombe di persone vive che mi hanno fatto venire una gran voglia di scappare via urlando. Ma ero ancora senza voce e mi sono accontentata di scappare via senza urlare.
Tre giorni dopo le cose sono tornate normali. I morti sono tornati al loro posto e sono nuovamente in grado di dire alla commessa che una busta mi è sufficiente, grazie.

Testo: Chiara Nuvoli
Immagine: Andrea Serio

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