un posto orribile

Una volta sono arrivato in un posto, mi sono guardato intorno, l’ho girato un po’ e ho capito che era il posto peggiore di Mosca. A Mosca esistono ancora posti orribili. Prendi la zona immediatamente adiacente alla stazione della metro Vychino.
A dire il vero, di posti del genere ce ne sono più di uno. Oh sì, ce ne sono molti altri. Anche se cominciano a essere sempre meno. Tutto è edificato di fresco, tutto è nuovo, luminoso, moderno, colorato, iridescente. E tuttavia è un posto speciale. O almeno così mi pare. Anche se è molto soggettivo.

Ci sono arrivato in una mattina umida e grigia di febbraio. Sono sceso dal bus. Zona industriale. Un accumulo di edifici di dubbia utilità. In lontananza si stagliavano due costruzioni nuove, alte e luminose. Ancora più lontano: un alto terrapieno sul quale correva un treno grigio e rosso con un gran sferragliare di ruote. La via si chiama vicolo dei Contenitori.
Sì, vicolo dei Contenitori. Si chiama proprio così. In onore dei contenitori da imballaggio. O, meglio, in onore dello stabilimento di produzione di contenitori. Il vicolo prese questo nome nel 1965, se prestiamo fede a Wikipedia. L’area era collegata a Mosca, nel giro di cinque anni fu costruita questa strada a forma di lettera g ruotata al contrario, con una piccola protuberanza collegata. E l’hanno chiamata vicolo dei Contenitori. In onore della fabbrica in questione, che all’epoca o esisteva già o si cominciava a delineare vagamente nella mente di qualcuno.

Contenitore. Poiché abbiamo appena menzionato Wikipedia, consultiamo questa auctoritas anche per la definizione di “contenitore”. Sebbene sappiamo già cosa significhi. Il contenitore è l’elemento principale dell’imballaggio destinato all’alloggiamento del prodotto.
In base alla natura dell’utilizzo, un contenitore può essere da trasporto, da consumo, industriale. In base alle caratteristiche di utilizzo può essere monouso, a rendere, riutilizzabile, per stoccaggio.
In termini di dimensioni è classificato come piccolo o grande. In base alla forma può essere una scatola, un barile, un tamburo, un fusto, una fiaschetta, una bottiglia, una borsa, un barattolo, una caraffa, una scatola, un sacchetto, un vassoio, una tuba, un’ampolla, una tazza, un flacone, una balla, un rotolo. Un bicchiere, perché no? Sì, proprio un bicchiere.

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È interessante il tipo di contenitore che viene prodotto nella fabbrica di contenitori, in passato ubicata in vicolo dei Contenitori. Voglio pensare che da lì uscissero tazze, bottigliette e fiaschi. Ma, cosa ben più probabile, da lì uscivano casse (da morto). Beh, forse anche barili e tamburi.
In un certo senso, anche una cassa è un contenitore. L’espressione popolare “suonare nelle casse” (alla lettera) significa “tirare le cuoia”. Una bara è un contenitore progettato per ospitare prodotti realizzati dalla morte. In base alla caratteristica dell’uso si classifica come una tantum.

A proposito di bare. In due alti e moderni edifici chiari in vicolo dei Contenitori n. 3, si trovano l’ufficio medico legale e l’obitorio. Da qui le persone che hanno smesso di vivere partono in un contenitore tipo “bara” per l’ultimo viaggio – prima lungo il vicolo dei Contenitori, accostando magazzini e piccoli stabilimenti industriali, poi lungo via Promyšlennaya, e poi… dove vuole andare va! O, meglio, dove i loro parenti e amici vogliono che vada. Perché loro, i trapassati, non hanno più bisogno di nulla qui (almeno in teoria).

Mi è toccato venire qui, al vicolo dei Contenitori, in una tetra mattinata di febbraio, perché era morto un mio vecchio e buon amico. Nell’obitorio al vicolo dei Contenitori, n. 3, avrebbe avuto luogo l’estremo saluto, e poi ci saremmo spostati al crematorio (il secondo di Mosca).
Scesi dall’autobus, era ancora presto, gli altri partecipanti alla funzione sarebbero arrivati più tardi. Uscii e andai in direzione degli edifici moderni alti e luminosi. Erano edifici insoliti. Anche se potevano sembrare normali. Ma, almeno secondo me, sono davvero strani.
Edifici a nove piani, rivestiti di qualcosa di splendente. Il piano superiore, il nono, chiudeva il tetto a spiovente con un rivestimento metallico bluastro. Sulle facciate, ai piani superiori, c’erano mostruose finestre a bovindo. Gli edifici erano quasi identici: uno più lungo, l’altro più corto. Erano collegati da un passaggio coperto. Finestre, finestre e ancora finestre.
Sembravano in qualche modo esuberanti e insieme terribili in questa euforia, i due edifici. È un po’ difficile da spiegare, ma, in linea di principio, te li trovavi di fronte, stavi lì a guardarli e te ne rendevi conto da solo. In questa luminosità e modernità, in questi bovindi e nel tetto a spiovente in metallo c’era proprio qualcosa di terribile… O, meglio, come scriveva Kafka nel Castello, utilizzava proprio queste parole nella descrizione iniziale del castello: “… con le piccole finestre che scintillano ora al sole – c’era qualcosa di folle in tutto questo”. Quindi, in queste finestre che riflettevano il cielo grigio, c’era qualcosa di folle. Eppure le finestre non erano piccole, ma grandi: tante, tantissime finestre grandi. E, in generale, la presenza di queste enormi costruzioni luminose con un gran numero di finestre nel mezzo dell’area produceva una strana sensazione. Di tanto in tanto passavano sul terrapieno treni di colore rosso e grigio con un gran sferragliare di ruote, insieme a treni a lunga percorrenza (per lo più dello stesso colore).
Correvano di qua e di là. Il vicolo dei Contenitori terminava in una piccola appendice, un vicolo cieco. Più in lontananza c’erano alberi, cespugli, un burrone; ancora più in fondo – secondo Yandex mappe – scorreva il fiume Čertanovka, ma non si riusciva a vedere, bisognava attraversare gli alberi, i cespugli, e proseguire ancora. Leggiamo su Wikipedia: In un burrone di fronte al fiume Čertanovka, vicino alla stazione Paveletskij delle Ferrovie russe, in via Promyšlennaya. In un burrone, vicino alla ferrovia.

Il mio amico si chiamava Maksim. Finalmente arrivarono amici e parenti di Maksim. Strette di mano trattenute, abbracci. Tutto era senza fine, tutti fumavano nostalgici, mentre io non fumavo, perché non fumo (e quindi continuavo a non fumare), ma, si potrebbe dire, fumavo coralmente, insieme a tutti, stavo in piedi e accompagnavo e sostenevo il loro fumo. Poi girammo intorno al luminoso edificio di nove piani (assai distante dalla fermata dell’autobus) dal retro, attraversammo il cancello vicino alla barriera ed entrammo in un terzo edificio, anch’esso moderno, ma non così alto, costruito con qualcosa che somigliava a del marmo marrone chiaro. All’interno c’era una stanza non molto spaziosa, sul display elettronico si illuminavano i nomi delle persone morte i cui corpi erano consegnati in quel momento nei corridoi per l’ultimo addio. Era come il tabellone orario dei treni in stazione.

Il nome di Maksim ancora non compariva, e tutti tornarono a fumare, si alzarono e fumarono, qualcuno aveva una fiaschetta di brandy, si alzò, fumò (o non fumò), sorseggiò.
Un treno oltrepassò l’argine e poi un altro ancora. Da qualche parte là, dietro i cespugli, in un burrone, scorreva e scorre e scorrerà ancora quel corso senza fine del fiume Čertanovka.

Maksim ha vissuto pacificamente, in silenzio. Ed è morto pacificamente, in silenzio. Si sentì male, si sdraiò e morì. A casa. Ha condotto una vita tranquilla, beveva molto poco, ma fumava molto. Davvero molto. Ma proprio tanto. Forse per questo è morto. Maksim era un uomo molto buono. Lo era davvero.
Rientrammo nell’edificio marrone chiaro e il nome di Maksim era già illuminato sul display, l’operatore funebre disse: “Passate in questa sala, entrate”, appoggiarono la bara su un piedistallo al centro della sala. E quello che avvenne dopo è conosciuto come  “estremo saluto”.
Poi la bara fu caricata su un minibus listato a lutto e andammo tutti al cimitero di Nikolo-Arkangelsk, al secondo crematorio di Mosca. Non si tenne nessuna cerimonia religiosa. Un giovane ragazzo suonava melodie moderatamente tristi su un sintetizzatore.
Un prete, come d’abitudine, disse: “Oggi diamo l’estremo saluto a…”, e chiese nome, cognome e patronimico di Maksim, disse anche che sarebbe rimasto nei nostri cuori e chiese se qualcuno volesse dire qualcosa. Nessuno disse (o accennò a dire) nulla. Il giovane suonò di nuovo il sintetizzatore e, col sottofondo delle sue semplici melodie, la bara di Maksim fu posizionata su un ascensore (sì, è proprio un ascensore) e trasportata fino alle profondità del secondo crematorio di Mosca.
Era davvero un brav’uomo. E, anche se suona un po’ melenso, il ricordo di lui rimarrà nei nostri cuori. Poi fumarono (o non fumarono) a lungo sulla piazza di fronte al secondo crematorio di Mosca.
Si potrebbe dire che anche questo è un posto terribile, ma no, non è così terribile, è intorno al solito cimitero, e di norma la vista di un cimitero russo regala una sensazione di quiete. Quindi non è un posto così orribile, è normale, adatto all’occasione. Anche se, naturalmente, il crematorio stesso è…
Mentre il vicolo dei Contenitori, quello sì che è un posto orribile.

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Avrei pure dimenticato in fretta questo posto, se non mi fossi ricordato di una cosa. Di una scrittrice famosa che, oltre a tenere corsi di scrittura, lavorava come anatomopatologo. Ci siamo seduti in un caffè di una grande azienda dopo non ricordo quale evento letterario, abbiamo iniziato a parlare di lavoro e ho scoperto che aveva lavorato fino a poco tempo prima all’ufficio medico legale di vicolo dei Contenitori.
Ci siamo scambiati le nostre opinioni su questo posto, le opinioni coincidevano. La scrittrice ha aggiunto che lì vicino ci sono ancora un inceneritore e un cimitero, così, tanto per dire. E poi ha anche detto: “Hai visto su Facebook il mio post sul mio ultimo giorno di lavoro lì, prima di andare a lavorare in un altro obitorio, quello in cui scrivevo che ero lì, tutta sola, l’unica anima viva nell’intero edificio dell’obitorio (in realtà, c’era anche una guardia al piano inferiore)?”.
Ho guardato più tardi il suo profilo Facebook: sì, era tutto vero. Da sola, nell’obitorio, l’ultimo giorno di lavoro, il lavoro e la raccolta dei suoi effetti personali, dalle ampie finestre si riversava la luce intensa del sole, mentre in sottofondo passavano i Radiohead.
È una brava scrittrice, a quanto pare, il lavoro del medico legale le fa bene.

A Pasqua, in chiesa, si legge sempre il discorso di Giovanni Crisostomo con enfasi sulle parole: “Dov’è, o Morte, il tuo pungiglione?”.
Sì, in un certo senso la morte è sconfitta e sconfitta per sempre, ma in un altro senso no. È lì, e i prodotti della sua industria escono ogni giorno dal vicolo dei Contenitori in un unico imballaggio.
E se guardi questo fatto da un punto di vista artistico, quasi compassionevole, puoi ben dire che il pungiglione della morte sono gli edifici luminosi a nove piani che spuntano dalla terra a sud di Mosca, coperti da tetti a spiovente di metallo bluastro, nella zona industriale, sul vicolo dei Contenitori, che parte da un burrone vicino alla stazione Paveletskij. Dov’è, o Morte, il tuo pungiglione? Sul vicolo dei Contenitori, n. 3. Sull’alto terrapieno corre un treno grigio e rosso con un gran sferragliare di ruote.

3-4 giugno 2018

Testo Dmitry Danilov
Illustrazioni Marco Saccaperni
Traduzione dal russo Donatella Caristina

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