il segreto delle gocce di pioggia

A Lana
E a tutti i nomi prigionieri nelle gocce di pioggia

C’era un luogo, in un tempo antico,

Un bosco lontano, dove viveva una strega. La strega abitava in una casa sperduta; una dimora che si affacciava sopra un grande lago. Tutti i giorni, al sorgere del sole, la strega partiva per il bosco. Cercava tra i rami degli alberi le case dei ragni e da queste raccoglieva le fila nere. Rincasava e tesseva le ragnatele in ciglia ricamate che avrebbe poi donato ai suoi cervi magici. Tesseva e tesseva, fino a quando il giorno veniva liberato e il sole pian piano annegava nell’acqua della cascata sul dorso della foresta.

Prima che il sole si nascondesse del tutto nella cascata, i cervi raggiungevano il lago. Questo li trasportava sulle sue cime d’acqua rotonde e li conduceva alla dimora della strega. Non appena arrivavano alla porta, si ordinavano in fila.
Si avvicinavano alla strega uno a uno e le porgevano una goccia di pioggia. Trasportavano negli occhi i granelli d’acqua; la strega li prendeva e in cambio dava loro le ciglia ricamate. Depositava poi le gocce in una grande giara di vetro. Non erano gocce di pioggia comuni. In ciascuna di esse, vi era prigioniero un nome.

Un giorno fra i giorni, una bellissima bambina entrò nella foresta passeggiando con la madre. I suoi capelli erano lunghi e neri e il vento amava danzare tra le sue ciocche. Il suo nome era Lana.
Lana e la madre, nel bosco, ballavano e cantavano. All’improvviso Lana si voltò perché non udiva più la voce della madre.
Là dove prima si trovava, Lana vide solo una goccia di pioggia che pendeva dal ramo di un albero. La madre era scomparsa. Lana scoppiò a piangere.
La cascata del bosco provò tenerezza.
“Perché piangi?”, le disse.
Lana non rispose. Un cervo passò, prese la goccia che pendeva dall’albero e scomparve.

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La cascata offrì rifugio alla bambina nascondendola nelle sue vesti d’acqua. Un albero di mele vide i suoi lunghi capelli neri e se ne innamorò. Ogni giorno offriva a Lana una mela affinché si nutrisse.
Lana crebbe nella foresta. Tutti i giorni chiedeva della madre ma la cascata rimaneva in silenzio. Un giorno come un altro, però, decise che le avrebbe parlato. Le avrebbe detto di sua madre, della strega, dei cervi che prendevano le gocce di pioggia e della grande giara in cui lei le raccoglieva.

Le raccontò molte storie sulla strega. Le disse che tesseva tende coi capelli delle bambine; degli abiti dei ragazzi faceva tessuti, trapunte, tappeti. Lana ascoltò e si riempì di paura. La mancanza della madre era tanta, però, e nonostante il terrore decise di agire.
Il giorno dopo si svegliò presto. La cascata dormiva e dalle sue acque Lana prese uno scialle di arcobaleno; vi nascose una mela e fuggì. Camminò tutto il giorno attraverso uno stretto passaggio fiorito; superò le orchidee e arrivò al lago. Il sole pian piano scendeva e intorno all’acqua si radunavano i cervi.
La notte scese e Lana si trovò sola: dietro di lei la foresta, avanti a lei il lago. Si guardò intorno cercando un un rifugio dove dormire e vide solo un alto albero con un unico ramo. Si arrampicò su di esso e si raccolse. Era freddo, buio; Lana era triste e stanca. Pensò intensamente alla madre; ai suoi capelli neri, alla sua voce.
Da un luogo remoto, arrivò un canto.

“Al la la u la la u la la ya ba. Perché sei triste Lana?
Perché sei triste Lana?
Ti ho dato la mia anima,
Dammi, dammi in cambio il tuo sorriso”

Lana si addormentò alla voce della madre. L’albero che la ospitava si commosse e l’avvolse nelle sue foglie sino al mattino.
Con la luce del giorno, Lana si svegliò, il sole che si avvicinava ai suoi occhi. Ancora sull’albero, sentì un fruscio sotto di lei. Si stropicciò gli occhi, guardò in basso e vide un piccolo cervo.
“Dove vai?”, chiese.
“Dalla strega per prendere le ciglia dei ragni magici”, rispose il cervo.
“Portami con te – disse lei  – ti darò una mela”.

Il cervo acconsentì: “Ma a una condizione! – aggiunse – Non urlare quando sei sulla mia groppa. Se il lago ti sente si spaventerà. E affogheremo, sia io che te”.
Lana accettò. Avvolse lo scialle di arcobaleno sul collo del cervo, vi si attaccò, e quello partì veloce. Nel tempo di uno sguardo, arrivarono al lago. Una piccola onda si alzò e cominciò a salire, e salire; il cervo e Lana, in alto sopra l’onda. Quella si fece più alta e iniziò a nuotare verso l’altro lato del lago; li avrebbe guidati a casa della strega. Nuotò verso l’altra sponda per tutto il giorno portando con sé il cervo e Lana. Poco prima della discesa del sole, Lana alzò la testa. Vide onde arrivare da ogni lato; sopra ognuna di esse un cervo. Arrivate al confine opposto, le onde si fecero più quiete. I cervi iniziarono a discendere dalle cime, abbandonarono l’acqua, e camminarono verso l’ingresso della casa.

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I cervi si misero in fila aspettando la strega. Lana scese dal dorso del piccolo cervo e, quando la porta si aprì, si nascose veloce dietro di essa. Vide finalmente la strega: un’anziana signora, due trecce lunghissime e grigie come filati di lana. Erano così lunghe che spolveravano il pavimento. Il corpo era grande e maestoso, ma più grande di lei era la giara di vetro che teneva tra le mani. Dentro c’erano tantissime gocce di pioggia e in ognuna vi era scritto un nome.
Mentre la strega dava le ciglia ai cervi e raccoglieva le gocce di pioggia nella grande giara, Lana si mosse in punta di piedi e, senza che la strega se ne accorgesse, entrò nella casa. Si nascose dietro una tenda. Il buio della notte arrivò e la strega chiuse piano la porta. Lana rimase dietro le tenda sino al sorgere del giorno e la partenza di tutti i cervi. Da dove era nascosta, udì la strega avvicinarsi, passo dopo passo. All’improvviso la strega aprì la tenda, Lana spalancò gli occhi e le afferrò i capelli. La strega si ergeva di fronte a lei, le lunghe trecce grigie tra le mani di Lana. Con voce soffice, la strega parlò:
“Oh, piccola, cosa fai qui dopo che il sole è annegato nella cascata? Lavoro alle ciglia dei cervi tutto il giorno ed è da tanto tempo che un bambino non passa a trovarmi!”
Lana rispose spaventata: “Dicono che coi capelli delle bambine costruisci le tende della tua casa…”.
La strega rise forte. Prese la tenda tra le mani e la porse a Lana: “Le cucio con la seta! Col baco da seta. Amo che lui viva con me”.
“E questi tappeti…di cosa sono fatti?”
“Di pelo di cammello. Mi fu donato da un mercante che aveva perduto il cammino. Gli offrii acqua e cibo.”
“…e le trapunte?”
“Sono di lana. La lana di una pecora. Nel campo dietro la casa mi prendevo cura di lei. Se ne è andata quando è giunta l’estate.”
“E perché raccogli le gocce di pioggia nella giara?”
La strega rimase in silenzio e camminò lenta verso la giara di vetro.
“Le raccolgo affinché non scompaiano. Quando la tempesta arriva, sappiamo dove si trovano le gocce e dove sono rinchiusi i prigionieri.”
“Perché sono prigionieri? E prigionieri di chi?!”
“Del re crudele – rispose la strega – del re che non ama il canto delle donne e degli uomini. Li trasforma in gocce di pioggia così che il sole le asciughi e, quando arriva al suo apice e l’aria si fa calda, evaporino e svaniscano. Ma io e i cervi le raccogliamo prima che il sole diventi forte e le mettiamo qui, nella giara.”
“Ma come possiamo aiutarle perché non restino prigioniere nella giara?”, rispose Lana.
La strega si fermò a pensare. Camminò intorno alla stanza e all’improvviso notò lo scialle di arcobaleno tra le gambe di Lana. Lo prese e le disse: “Vieni con me”.

Uscì dalla casa e sventolò lo scialle, dalla terra al cielo. La luna porse le sue mani e aprì lo scialle sulle montagne e le valli. Lana avvicinò la giara all’arcobaleno.Il mondo fuori era buio e con il canto dei grilli notturni la voce della quiete arrivava dal bosco. Alla luce della luna che illuminava la casa e il lago, la strega aprì la giara, e le gocce di pioggia iniziarono a danzare sullo scialle di arcobaleno e a salire in alto. Pian piano raggiungevano la luna. Mentre si alzavano, Lana udì lontano il canto della madre:

“Al la la u la la u la la ya ba. Perché sei triste Lana?
Perché sei triste Lana?
Ti ho dato la mia anima,
Dammi, dammi in cambio il tuo sorriso”

Quando l’ultima goccia raggiunse le altre, la luce della luna schiarì il cielo, che divenne azzurro come col sole del giorno. Scese la pioggia, e le gocce ripresero fattezze umane. Nella folla, Lana cercò la madre. Lontana, la vide per un attimo. Corse e l’abbracciò. Si voltò per ringraziare la strega ma la sua casa era scomparsa, e così il lago, e i cervi, e l’albero di mele. Tutto quello che era stato. Rimasero solo la luce della luna e il bosco lontano. La luna illuminava il mondo, tenendosi raccolta nello scialle di arcobaleno.

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Testo e illustrazioni Dima Nachawi
Traduzione di Enrica Fei

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