UMID(O) presenta

PUNCTUM

“Mi devi un favore – Barbara fa smorfie da bambina e mi tira la manica della giacca con tre dita – Avevo di meglio da fare che venire qui oggi. Mi devi un favore”.
“E infatti ti ho già detto grazie mille volte. Devo vedere una persona oggi,” me la trascino dietro, sulle strisce pedonali.
“Ma chi, quell’uomo che frequenti?”, mi chiede e si infila un’unghia in bocca.
“Non ci vediamo più. Ci siamo lasciati.”
Barbara frena le gambe e dice che non gliel’avevo detto. Mi chiede quand’è successo.
“Qualche mese fa.”
Mi giustifico dicendo che non mi andava di parlarne.
“Ok – Barbara mi guarda come se fossi la persona più triste di questo mondo – Allora chi devi vedere oggi?”
“Una donna che ho conosciuto di recente. Una con cui ho qualcosa in comune.

Le previsioni del tempo hanno detto che oggi sarà la giornata più torrida di tutta l’estate, con punte di quarantadue gradi. Bologna soffoca, chiusa dentro una bolla di calore, e il cielo è così azzurro da accecare i passanti, già impegnati ad asciugarsi il sudore dal collo. Ci si dovrebbe muovere poco con questo caldo. I muri di pietra marroncina cuociono tutto e attirano mosche verdissime, turgide ed elastiche come foglie di orchidea.
Entriamo in uno scantinato senza finestre. Illuminato da faretti orientabili che diffondono una luce fredda. Le pareti sono color tortora, i pavimenti petrolio. Nelle fotografie in bianco e nero ci sono uomini e donne che strillano per strada, si specchiano nelle vetrine, si baciano. In una fotografia, una donna secca si scioglie fra le braccia di un ometto, anche lui esile e ossuto, e penso che c’è qualcosa che non mi torna.

Ci sono cose dell’amore che non mi spiego. Come faccia a cambiarti il corpo, ad esempio. A farti dimagrire, sbiancare, ingrassare. Ho conosciuto Luca a un matrimonio e ho notato subito la sua altezza; torreggiava su di me come un albero.
Si è avvicinato con la testa e ha appoggiato la sua mano sul lato sinistro del mio torace. Con il palmo mi sfiorava il seno. Poi ha detto una qualche frase di poca importanza e se n’è andato, con lo sguardo rivolto a un ciliegio che si trovava a pochi passi da noi. Quel giorno faceva davvero caldo, ricordo ancora il mascara che colava sulle guance delle ragazze e la panna bianca della torta sgonfiarsi nel mio piatto. Quell’uomo era sempre circondato da donne con vestiti color pastello. Fra loro ce n’era una bionda e ricciola, sulla quarantina, si era piegata su sé stessa in una risata per poi appoggiarsi al suo petto. In quel momento avevo sentito un crampo sotto l’ombelico, e avevo capito di desiderare quell’uomo, senza sapere perché. Avevo nel piatto un’enorme fetta di torta, ma non ero riuscita a mangiarla. Sentivo lo stomaco pieno e non riuscivo a mandare giù nulla.

Alla mostra ci sono donne con tacchi alti e uomini in giacca. In un angolo c’è la fotografa. È vestita come in quella foto che ho scovato in rete; è una donna sui quarantacinque, con i capelli biondi corti e décolleté di vernice nere. Ha gli occhi piccoli e le sopracciglia chiare, credo che sia quel tipo di donna che gli uomini trovano attraente. Sul tavolo sono stati appoggiati degli articoli di giornale. Barbara ne prende uno e lo legge ad alta voce.

…che cos’è dunque l’amore? Prova a darci una risposta Lucrezia Sanna – quarantaquattro primavere, origini sarde – che con la sua mostra dal titolo “Amore Ritrovato” punta il riflettore sul logos amoroso e sulle parti che lo compongono. L’artista, puntuale osservatrice delle umane emozioni, fissa su carta istanti – siano essi di incontro, crisi o riunione – facendo emergere realtà sottese e sconosciute agli stessi attori…

Nella fotografia davanti a me un uomo e una donna sono seduti a un tavolino. Lei sta osservando un passante mentre lui ha lo sguardo rivolto verso il basso e il dito indice appoggiato sulla fede lucida.
“Puoi finire di leggere, Barb?”, sussurro senza staccare gli occhi da quell’anello.

… il percorso ideato dall’artista si articola in tre fasi – nascita dell’amore, distacco e ricongiungimento. Interessante sottolineare come l’artista abbia deciso di inserire in alcuni scatti elementi personali (visi, luoghi amati) che divengono veri e propri lembi di intimità offerti in dono allo spectator…

Il chiacchiericcio che riempie la stanza inizia a diventare fastidioso.
“Non ti ho mai sentito parlare di fotografia, non credevo ti…”
“Non mi interessa.”
“Ah, giusto devi vedere quella donna.”
Barbara mi passa il giornale.
“Ora non so se ne ho più voglia”, rispondo.
Sento che Barbara mi sta guardando e senza fare la buffona, come fa di solito.
“Lo so io cos’hai. È per via di quell’uomo, vero? Ci stai male.”
“Ma no. Non so, forse un po’. Solo non c’ho capito nulla.”
“Non ci devi pensare. Io certe domande non me le faccio proprio. Non ci sono risposte.”
Alzo il giornale con entrambe le mani: “Sembra che alcuni abbiano capito tutto invece”.
“Cazzate. Fanno finta, ma ci vedono poco, proprio come tutti gli altri. Ci sono solo fatti, senza capo né coda – Barbara mi sorride di nuovo e mi strappa il giornale di mano – Senti io vado a fare un giro, vieni con me”, propone.
“Dove vai?”
“Ci sono due ragazzi niente male laggiù. Lascia perdere tutto il resto, è andato.”
“No scusa, vorrei continuare a guardare le fotografie.”
Mi guarda, premendo le labbra.
“Come vuoi.”
Mentre si allontana i suoi capelli ondeggiano, da destra a sinistra. Il giornale che parla d’amore l’ha tenuto lei e la cosa mi sembra più che coerente.

Il buffet è servito su un bancone di vetro. Ci sono solo salatini e qualche tramezzino ammosciato. Ordino un calice di Bardolino. Il vino contenuto all’interno è denso e scuro, lo immagino metallico sulla lingua. Qualche mese fa mi è capitato di leggere l’elenco degli ingredienti di una bevanda al supermercato. Contiene cocciniglia, c’era scritto. Il nome mi incuriosiva – mi ricordava una coccinella – così l’ho cercato sul vocabolario. Ho scoperto che la cocciniglia è un minuscolo parassita utilizzato per la creazione di un colorante alimentare rosso vermiglio contenuto in molti cibi e bevande – aperitivi, caramelle, torte. Il pigmento che dona il colore è presente solo nelle femmine gravide che vengono prima fecondate, poi essiccate e schiacciate. Servono almeno settantamila esemplari per produrre cinquecento grammi di polvere cremisi. Settantamila parassiti con il ventre stracolmo di uova, femmine che vengono digerite e che diventano parte di noi. Cosa potrebbe succedere se in quelle cellule ci fosse ancora vita? Potrebbero rigenerarsi lentamente, come lucertole, una zampa alla volta. Potrebbero risalire lentamente, e chissà cos’altro. Potrebbero unirsi alle nostre cellule e modificarle, vendicarsi dall’interno. Farci sentire sazi o farci ingrassare. Farci invecchiare di colpo, farci morire. Sarebbe facile.

punctum

“La prego, sia gentile, mi venda quel calice”, dice una voce alle mie spalle.
“Come ha detto?”
Un uomo brizzolato mi ha piantato gli occhi addosso.
“Ho detto: sia cortese, mi ceda il vino. Glielo pago venti euro, che dice? Un buon affare se considera che lei lo ha avuto gratis”, appoggia un gomito al bancone, tira fuori il portafogli.
“Perché?”
“Hanno finito il vino e devo resistere qui altre due ore.”
L’uomo rimane fermo, con la schiena dritta, e sorride. Una coppia ci passa a fianco e quasi mi sfiora la schiena. La donna esplode in una risata potente ed entrambi ci voltiamo attirati da quel suono.
“Perché, non le piace la mostra?”
“Non le saprei dire – poi aggiunge – Non mi piace.”
“Perché?”
“Perché queste persone sono state usate inutilmente. Questa donna si è servita di loro per parlarci di sé e basta.”
“Non lo facciamo un po’ tutti?”
“Cosa?”
“Raccontare di noi. Non è quello che facciamo tutti?”
“Può darsi. Ma qui si parla d’arte e io non vedo alcuna verità universale. Se vuoi usare gli altri devi avere qualcosa di straordinario da dire, altrimenti lascia perdere. Pensi solo al titolo: Amore Ritrovato. Ma per piacere, lo vada a dire a mia moglie”,
Si ferma un momento e appoggia un dito su una guancia. Sembra più anziano ora.
“Ha mai sentito parlare del concetto di punctum?”
“No, non direi. Di cosa si tratta?”, chiedo.
“Roland Barthes – il critico, lo conosce? – lo riprende per parlare di fotografia. Il punctum è una nota misteriosa che rende un’immagine affascinante, che la toglie dal qui-e-ora e la rende… universale. Mi segue?
“Più o meno.”
“Le faccio un esempio. Qualche anno fa, a una mostra fotografica, ho visto il ritratto di un ragazzo molto giovane, di inizio Novecento, vestito già da adulto, con una giacca elegante. Aveva gli occhi sgranati. E mi sono ricordato di una sensazione che mi ha accompagnato per tanto tempo, quando ero poco più che un bambino. Ha mai avuto paura di crescere?”
“Ne ero terrorizzata.”
“Bene, allora mi capisce. In quel momento, quel ragazzo non era più solo un inglese del secolo scorso, capisce? Potevo essere io, lei, la paura stessa. E qui ritorniamo al punctum. Se la foto ha quel dettaglio allora sì, credo che valga la pena sacrificare l’intimità di qualche sconosciuto in nome di qualcosa di più grande. Ma io qui non vedo nulla.”
“E se io lo vedessi? Magari questo punto è qualcosa di personale, io lo vedo e lei no.”
Pare rifletterci su: “Certo, su questo ha ragione. Mia moglie me lo dice che guardo tutto sempre e solo dal mio punto di vista. Sarà per questo.”
Mi sorride: “Se le dicessi che mi sono avvicinato a lei perché era sola e bella? Non è che ora fa quella che se ne va, vero?”
Sorrido.
“Le dico anche che ha gli occhi tristi, non so perché ma alle donne piace sentirselo dire. Vede che con lei mi viene automatico scoprire le carte? Ora me lo dice perché è triste?”
L’uomo mi fissa in attesa di qualcosa, che non è solo la risposta alla sua domanda.
“Facciamo così, io le racconto una cosa che mi è successa e lei mi dice cosa ne pensa.”
“Sentiamo.”
“Sa quella storia che una forte emozione può sbiancarti tutti i capelli? Be’, io non ci ho mai creduto finché non l’ho visto coi miei occhi. Uscivo con un uomo, l’anno scorso. Lui abitava qui ma non era bolognese, spesso si spostava per lavoro oppure ritornava dai suoi genitori. Quando l’ho salutato, a dicembre, aveva tantissimi capelli bianchi. Ha detto che era colpa dell’indecisione, che non sapeva cosa fare. Ha detto che avrebbe lasciato la moglie ma che prima doveva sistemare alcune cose. Ha anche pianto. Secondo lei può accadere, l’amore può cambiare il nostro corpo?”
“Suppongo di sì.”

L’uomo mi sorride e prende a guardarsi prima le scarpe e poi un punto dall’altro lato della sala, come se stesse cercando una persona. Dopo qualche istante si gira di nuovo ma è più distratto.
“Com’è finita poi?”
“Ci siamo frequentati per tutta la primavera e poi è finita. L’ho rivisto il mese scorso, passeggiava con sua moglie. Una bella bionda, una di quelle a cui non si smagliano mai le calze – non so se ha presente.”
L’uomo sorride evitando i miei occhi.
“Sa, ci ho ripensato, lo tenga pure il bicchiere”, dico all’uomo immaginando tanti piccoli insetti femmina colonizzare il suo stomaco e riempirlo fino all’orlo di un liquido color cremisi, denso, molto simile al sangue.
“A proposito, sono Anna.”
Prende il mio bicchiere e beve. I suoi occhi ritornano sui miei.
“E io Francesco.”

Ci sono almeno due uomini e sei donne in fila alla toilette. Quattro di queste hanno tacchi altissimi che io mai oserei indossare. Appoggio la schiena alla parete, lascio andare indietro la testa. Sbuffo così forte che la bionda davanti a me si gira.
“Quando ho scelto il luogo dell’evento avrei dovuto pensarci a questo fatto del bagno unico. Adesso mi odierete tutti – sorride, liscia la gonna con le mani – Piacere, sono Lucrezia Sanna”.
“Buonasera. L’avevo riconosciuta dalla foto. Complimenti per la mostra.”
“La ringrazio, si sta divertendo? A parte ora, intendo.”
Ride e fa un passo indietro. Mi guarda tutta, da capo a piedi, lo fa con un movimento degli occhi appena percettibile. Ha un perfetto controllo dei propri movimenti, non si tocca mai il viso o i capelli con le mani.
“Sì, molto.”
“Bene. Le è piaciuto qualcosa in particolare?”
“Be’ sì, mi è piaciuta molto un’opera, quella lì, al centro della sala.”
Allungo l’indice verso la fotografia, lei segue il mio movimento con gli occhi.
Mi pare che il borbottio intorno a noi sia di colpo cessato, ora riesco a sentire la sua voce chiara come il vetro.

Lucrezia si sporge a osservare la fotografia che ritrae un uomo affacciato a un balcone, le braccia incrociate e i gomiti appoggiati alla ringhiera. Ci sono molte zone scure in contrasto col fascio di luce centrale che illumina il busto del soggetto. Lei guarda la foto come se non l’avesse mai vista prima.
“Cosa la colpisce?”, mi domanda senza staccare gli occhi dall’uomo.
“C’è un qualcosa in questa immagine che mi colpisce ma non riesco a capire cosa sia. È un piccolo dettaglio ed è proprio lì sotto ai miei occhi, di questo ne sono sicura, ma non riesco a isolarlo.”
“Come un… punto?”, mi chiede.
“Sì, un punto.”
“Però. Lei ha occhio sa? Non so come abbia fatto, ma fra tutti ha scelto lo scatto che mi sta più a cuore.”
“Solo intuizione,” rispondo. Mento.
“Vede, l’uomo in foto è mio marito. Siamo stati separati per un po’ di tempo. Un giorno ricevo un suo messaggio in cui mi chiede di raggiungerlo nella nostra casa al mare, in Sardegna. Sa, viviamo a Bologna ma siamo sardi. Il giorno stesso prendo un aereo, era la Vigilia di Natale. Arrivo a casa, apro il cancello, e lui è lì ad aspettarmi, affacciato al balcone con quel sorriso. Quel sorriso significa tutto, è quello il punto.”
“Capisco.”
“A volte mio marito mi chiama strega, dice che è colpa mia se ha già tutti i capelli bianchi – abbassa gli occhi, per la prima volta si tocca la faccia – Sa, oggi mi ha fatto felice. Dico davvero. Mi ha confermato che le mie opere trasmettono qualcosa. Al di là della mia storia personale, intendo”.
“Ha ragione, trasmettono qualcosa.”
Infatti, lo vedo quel punto ed è qualcosa che mi lacera. Stiamo in silenzio per un lungo minuto.
“Vorrei comprare questa foto. Me la vende?”
Lucrezia accetta e fa un sorriso da amica.
“Farò un’altra mostra quest’autunno, mi venga a trovare.”

Barbara è sparita e io me ne vado, non ho voglia di aspettarla. Mentre percorro Via Indipendenza vedo una coppia che se ne sta abbracciata, stretta stretta. Chissà se i loro organi traboccano di quel liquido cremisi. Sono magri, sciupati, quindi suppongo di sì. Più li guardo e più mi pare di scorgere un punto che fino a questo momento non avevo mai notato.

Testo Lisa Malagoli
Illustrazione Diandra Cannata

 

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