Li Filmi Invedibili presenta

TITOLO: L’Albero degli Zotici
REGISTA: Lino Manermo
DURATA: ‘137
GENERE: neorealismo dialettale
PRODUZIONE: Bergamo
CAST: attori non professionisti
CASA DI PRODUZIONE: Bergamo & Dintorni

Sinossi e nota critica: Se molti di noi pensavano che il neorealismo italiano fosse morto e sepolto da tempo, l’esordiente Lino Manermo ci ha smentiti in modo eclatante. Dopo essere stato premiato e applaudito al Cinefestival di Calvisano, il suo L’Albero degli Zotici verrà proiettato ora nelle sale cinematografiche di tutta Italia.
Riuscirà un film del genere a superare i suoi limiti regionali (a eccezione della voce narrante, tutti i dialoghi sono in slang bergamasco) e a essere apprezzato dal grande pubblico? Ce lo auguriamo.
Perché questa pellicola, non solo racconta in modo crudo e schietto la realtà delle nostre province agresti-industrializzate, ma riesce a farlo toccando l’emotività dello spettatore, senza per questo scadere mai nel buonismo o, ancor peggio, in un certo tipo di profondità sentimentale scritta a tavolino.
Bottanuco. Protagonista della storia è Ivan Zandonai (nella parte di se stesso), figlio di una delle tipiche famiglie operaie che, ai nostri giorni, hanno preso il posto di quelle contadine di una volta.
Operaio lui, come i genitori, la sorella e, soprattutto, gli amici. Sono loro gli “zotici” del titolo, un gruppo di uomini di età variante tra i cinquanta e i venti. Tutte le sere, si ritrovano sotto un albero in aperta campagna per ubriacarsi e chiacchierare del più e del meno: ma chiacchierano solo in dialetto bergamasco. La lingua italiana, infatti, è rigorosamente bandita dal loro background culturale.
Finché, un giorno, Ivan decide di iscriversi alla scuola serale. Questa scelta verrà vista dagli amici come un tradimento e per Ivan inizierà un periodo di angherie, soprusi e vessazioni varie. Finirà male, ma forse la piccola comunità scoprirà in lui un nuovo martire.
Con uno stile a metà strada tra Ken Loach e Pasolini, Manermo descrive il mondo in cui è cresciuto affidandosi a uno sguardo oggettivo e distaccato, senza pregiudizi né compassione. Si passa dalla violenza visiva dell’incendio alla biblioteca comunale alla commovente scena in cui Ivan viene allontanato a sassate da una sagra patronale. Niente male per un regista che aveva iniziato la carriera con i documentari sportivi (Le Ultime Trenta Azioni di Christian, dedicato alla parentesi atalantina di Vieri, Doni di Natale, ma anche i più internazionali Corri, Bolt. Un ragazzo di Giamaica e A Qualcuno piace Tyson).
VOTO: 8
Testo: Fabrizio Di Fiore
Immagine: Bernardo Anichini

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