LETTURATORE presenta

 

Dice Mangia la frutta, la frutta fa bene, dice. Devi mangiare più frutta, dice, la frutta cruda ti fa sentire sazia e ti da le vitamine e i minerali di cui hai bisogno.
E allora per un mese corri tutti i giorni al mercato, compri intere ceste di frutta. Pesche per le vitamine A-B1-B2-C-PP, albicocche per le vitamine B-C-PP, arance per la vitamina C, mele per la vitamina A-E-C, banane per il potassio, mirtilli per la circolazione. Cominci a darci dentro.
Mastichi tutto insieme – semi, bucce, acini, fibre – e mentre mandi giù l’unico pensiero che hai è: che diavolo sarà mai questa vitamina PP?
Da piccola, quando ero a tavola con i miei genitori, facevo sempre un gioco: immaginavo di essere una barbona che non mangiava da settimane e che veniva invitata a pranzo da una famiglia di benefattori. Se mi concentravo riuscivo ad avvertire precisamente i morsi della fame.

Mi avventavo sul cibo come se fosse l’ultima occasione per nutrirmi, piatto dopo piatto, non mi arrendevo fino all’ultimo boccone.

Poi un giorno sei lì, seduta davanti al televisore. È pomeriggio, stai ingoiando litchis come fossero pop-corn. Li sbucci ed esplori con il pollice la loro strana superficie. Immagini di tastare un bulbo oculare. Li ficchi in bocca.
È a quel punto che dicono no eh! la frutta non fa mica sempre bene, la frutta è piena di zuccheri eh. Gli zuccheri fanno ingrassare, non si scappa.
Manca poco caschi dalla poltrona. E poi non tutta la frutta è uguale. C’è la frutta particolarmente zuccherina, quella che contiene molti lipidi…bisogna stare attenti.
Hai già smesso di ascoltare. Finisci di raccogliere le ultime cose – un avocado, quattro fichi, due pesche, i litchis rimasti – e butti tutto nel secchio dell’immondizia.
Quando sollevi il piede dal pedale, il coperchio si richiude con un clanc metallico che assomiglia allo scatto di una tagliola.

Da piccola, quando ero a tavola con i miei genitori, facevo sempre un gioco: immaginavo di essere una condannata a morte al suo ultimo pasto. Allora mangiavo piano, assaporavo le pietanze, godevo per l’ultima volta dei doni che mi venivano offerti, spazzolavo adagio tutto quello che mi veniva messo davanti. Per l’ultima volta. Ogni volta.


Ti svelo un segreto, dice, per star bene non c’è trucco migliore di un’acqua tiepida, pepe e limone appena svegli, dice, per la digestione è il massimo. Detox.
Ti senti già male. Solo il pensiero di ingollare mezzo litro di acqua calda e limone di prima mattina ti disgusta. Eppure lo fai. Sette giorni su sette, un bel bicchierone che a malapena ti sei cacciata fuori dal letto.
In effetti pensi di star meglio. Senti lo stomaco che sciaguatta tutto quanto. Immagini sia buon segno, immagini.
Anche il senso di fame dipenderà certamente da quello. Ripulirsi, ripulire, stare meglio, dimagrire.
Se non fai qualcosa prima o poi la pagherai senza alcun preavviso, questo è certo. Infarto, tumori, osteoporosi. Per non parlare di come ti guarda la gente.
Ieri, al telefono con Isabella, mentre le stai parlando della tua nuova esistenza detox lei ti fa Alt!
Sì, è stato dopo tutte queste bicchierate acidule tirate giù controvoglia che Isabella ti intima l’alt. Bufala. Completamente inutile. Acidità di stomaco. Zero risultati.
E allora a quel punto vorresti afferrare un megafono e gridare al mondo: “Ok gente, io voglio dimagrire con tutta me stessa. Lo voglio davvero. Voglio stare meglio e sentirmi bene e sono disposta a fare qualsiasi cosa. Qualsiasi. Farò tutto ciò che vorrete. Seguirò diete, digiunerò, metterò sotto i denti tutto ciò che mi presenterete nel piatto. Voi però dovete venirmi incontro. Collaborare. Perciò, santo cielo, mettetevi d’accordo! Stabilite una volta per tutte cosa è giusto, dove sta la salute, cosa si deve e non si deve fare e io vi seguirò, sarò la vostra più fedele adepta.”
Vorresti urlare tutto questo, ma poi chiedi soltanto: “Ma sei sicura? Su un forum un dietologo ha detto che fa bene…”

Isabella ride. “Tesoro – fa – datti una sveglia. Ancora a dar retta ai dietologi? Quelli ti raccontano un sacco di frottole. Io adesso seguo solo i consigli del mio food coach.”

Da piccola, quando ero a tavola con i miei genitori, facevo sempre un gioco: appena mia madre si alzava per controllare la pentole sui fornelli e mio padre era distratto, sottraevo un piccolo boccone dai loro piatti. Nel momento in cui lanciavo la forchetta all’attacco una scarica di terrore mi attraversava la schiena. Non penso che se mi avessero scoperta sarei stata sgridata o punita, eppure ogni volta che lo facevo mi sentivo terribilmente colpevole ed eccitata.
Qualsiasi fosse la ragione per cui ripetevo quel gesto, non saprei spiegare il perché, ma il loro cibo sembrava sempre più buono del mio.

Alla tivvù passano un horror che negli anni ’90 avrai visto almeno un centinaio di volte. È uno di quei film che nasconde una buona dose di trascuratezza sotto il tappeto di chissà quale critica sociale, un modo come un altro per giustificare litrate di sangue al pomodoro e goffi effetti speciali.

È la storia di una commessa che alla fine del turno rimane accidentalmente bloccata  all’interno del supermercato dove lavora. Mentre si rassegna a passare la notte su una sdraio del reparto giardinaggio, gli scaffali cominciano a tremare e i prodotti prendono vita, animati da una forza demoniaca assetata di sangue.
Nella scena culmine, la protagonista, abbagliata dalle luci lattiginose del supermercato, cammina tra file di cibo in scatola con orrende e taglienti bocche di latta che cercano di morderla.
Mentre assisti alla fuga della commessa sorseggiando un frullato al cetriolo e sbocconcellando un biscotto alla farina di kamut, pensi a quale potrebbe essere la trasposizione moderna di quel film: contadini che brandiscono verdura biologica di stagione, allevatori che roteano catene di salsicce suine a chilometro zero, modelle anoressiche testimonial di cibo macrobiotico.

Forse devi esserti addormentata per un istante, perché il film è ai titoli di coda. Spegni il televisore e ti alzi per riporre i biscotti nell’armadietto. Dentro ci sono anche le fette biscottate integrali, la pasta senza glutine,  le gallette di riso. È tutta lì, la tua vita. Ti guarda e scuote il capo, ti sorride con la benevolenza che si riserva a chi non ha capito e proprio non ci potrà arrivare mai.

La sera, quando sono a letto, faccio sempre un gioco: raccolgo le ginocchia al petto e mi stringo tutta quanta. Conto alla rovescia, immagino di tornare indietro, sempre più lontano, fino a tornare bambina, fino a essere appena nata. Un corpicino nuovo, puro, incontaminato, per ricominciare da zero. Poco più di un feto. Niente scorie, grassi in eccesso, nessuna zavorra di colesterolo. Solo io. Nuova, pura, incontaminata. Un corpo pulito per una vita pulita. Come quella dei film americani, dove le persone fanno attività fisica e camminano scalzi nel giardino dietro casa e sorridono al futuro con la sicurezza di chi ha denti perfettamente regolari..

Testo: Martin Hofer
Foto: Iris Viola

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