Dopo il funerale di suo fratello, ha trascorso tutto il fine settimana aspettando il lunedì. Avrebbe avuto qualcosa di cui parlare, qualcosa da raccontare. Lei ascolta sempre i discorsi degli altri. Ormai, ci si è abituata come se fosse costretta a farlo. Lei non ha mai argomenti interessanti da introdurre, non che siano abbastanza rilevanti o attuali. Non ha fatti da raccontare né dibattiti da intavolare. Forse per mancanza di idee, forse per timidezza o scarso spirito d’iniziativa. Forse, invece, il motivo è che si lascia sottomettere troppo facilmente dalla prepotenza verbale degli altri. Sull’autobus, la signora con i capelli rossi la fa sempre da padrona. Il suo tono di voce, alto per natura, le consente di dirigere tutte le conversazioni tra i passeggeri o tra questi e il conducente. Lei è la sola autorizzata a parlare all’autista. In ufficio, invece, parlano tutte quante. Tutte tranne lei, la silenziosa ascoltatrice dei discorsi altrui.Ma questo lunedì, no. Questo lunedì, lei ha finalmente qualcosa di cui parlare. Del resto, è morto suo fratello. Avrebbe potuto parlare di lui. Argomento rilevante e attuale.

Avrebbe cominciato proprio sull’autobus, rubando la parola alla signora coi capelli rossi. Oggi, sarebbe stata lei a chiacchierare con l’autista, perché lui conosceva suo fratello. Da ragazzi, avevano frequentato la stessa scuola. Avrebbe potuto chiedergli se fosse a conoscenza della triste novella. Ecco, sì. Avrebbe cominciato proprio così.
“Hai saputo di Sandro?”, le avrebbe detto anche quali compagni di scuola fossero presenti al funerale (soltanto due) e quali no. Avrebbe raccontato qualche aneddoto divertente della loro giovinezza, come quella famosa volta in cui suo fratello in bicicletta si era scontrato con una pecora. Certo, oggi lei ne avrebbe avute di cose da dire sull’autobus. Il solito autista però è malato, a casa con la febbre. Che senso ha parlare di suo fratello con il sostituto? Non lo conosceva neppure. Inoltre sta già parlando di politica con la signora coi capelli rossi.

Camminando verso l’ufficio, inizia quindi a studiare il discorso da affrontare con le colleghe. Lei è la più anziana e, per una semplice questione di rispetto, le avrebbero chiesto notizie dell’infausto evento. Allora, avrebbe potuto parlare della malattia rapida e inattesa che le ha portato via il fratello.
“Era tanto buono, sapete. Non ha mai avuto vizi e aiutava anche in casa.”
Avrebbe descritto il corteo funebre e il raccoglimento in religioso silenzio dei presenti (soltanto quattro) al momento della sepoltura. Le colleghe avrebbero fatto domande e osservazioni. E lei, finalmente, avrebbe avuto qualcosa da dire.
“Condoglianze, Carla. Condoglianze.”
Strette di mano varie. Si avvicina il capufficio.
“Signora Carla, lei che è quella che lavora da più tempo qui avrebbe voglia di cercarmi questi documenti in archivio? Grazie. Ah, condoglianze.”

Tutta la mattina in archivio. Non avrebbe parlato a nessuno di suo fratello né di qualunque altra maledetta cosa. Per fortuna, c’è ancora una possibilità. Per fortuna, c’è la pausa pranzo e, per fortuna, c’è la barista, la donna più loquace che lei conosca. Una chiacchierona come la barista non le avrebbe rifiutato almeno mezz’ora di conversazione a proposito della morte di suo fratello. Mentre ci pensa, da sola in archivio, non considera più il modo per introdurre l’argomento. Tanto, sono due giorni che non fa altro. Due giorni e mezzo, contando questa mattina. Ormai sa tutto il copione a memoria e non vuole più ripassarlo. Neanche per ammazzare l’attesa. Conta solo i minuti che mancano alla pausa pranzo.
Cammina fino al bar con l’acquolina in bocca e non di certo per la fame. Poi, secchezza delle fauci da ansia. Poi, di nuovo l’acquolina. Ecco, è arrivata al bar, finalmente.
Chiuso per lutto.

Testo: Fabrizio Di Fiore
Immagine: Bernardo Anichini

 

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