LETTURATORE presenta


Se sono qui a raccontarti questa storia è perché in qualche modo sono sopravvissuta.
Il 16 maggio, era sabato, dovevano essere più o meno le nove di sera quando si formò la crepa che distrusse questa casa e i suoi abitanti.
Il ragazzo era stanco dei continui rimproveri, degli obblighi incomprensibili e di tutte quelle prove di forza a cui il Padre lo sottoponeva di continuo. Disprezzava i suoi modi duri ma anche l’umiltà rassegnata della madre, proprio lei che gli aveva dato la vita ora gli voltava le spalle!
Così iniziò quel dolore, l’ho sentito sorgere nel centro geometrico della casa e affondare le sue radici nel pavimento, nel suolo, nelle piccole incomprensioni e nelle grandi ingiustizie di ogni giorno.
Se solo avessi compreso prima, allora molto prima avrei investito le mie energie per impedire quei fatti. Ma siccome non l’avevo compreso, continuai a non fare nulla, con la stessa indifferenza con cui gli alberi generano l’ombra.
Ora però voglio ricordare, perché la vecchiaia mescola i fatti della vita e io invece voglio ricordarli nei minimi dettagli.
 E dunque quella sera non prometteva nulla di buono. Il Padre era stanco e quando era stanco a quel modo si toglieva sempre la cintura, per avere l’ultima parola senza usare le parole.
Era già nell’aria, lo si capiva da come stavano zitti, fissando ciascuno il fondo del proprio piatto.
E anche perché la madre si era alzata per sistemare la cucina, dando così le spalle ai due uomini e lasciandoli lì a contendersi tutto quel silenzio.
Chi avrebbe parlato per primo? Chi avrebbe acceso la miccia?
Avevano appena finito di cenare quando il ragazzo alzò gli occhi dalla tavola, chiedendo al Padre il permesso di uscire.
“Con Piero…”
“Piero…”
“L’amico di scuola.”
“Vai in cucina ad aiutare tua madre.”
“Ma è una cosa da femmina!”
Secondi. Minuti. Il silenzio aveva riempito la stanza, forse la Casa intera, ne ero invasa. Un’attesa bruciante che fece sentire il ragazzo assolutamente invisibile e allo stesso tempo completamente esposto. Poi altro silenzio sancì il verdetto.

 

Fu allora che il ragazzo ebbe uno scatto e reagì con rabbia a quel malinteso che si riciclava a ogni occasione.
Uscì di scena sbattendo con forza la porta e voltandosi solo all’ultimo secondo, per non mostrare gli occhi gonfi: “Tu non mi puoi giudicare!”
Pensavo che il Padre avrebbe dato un pugno contro il muro, facendomi dolere per giorni. Invece non si mosse, corrugò un po’ la fronte, rivelandoi suoi pensieri e un osso occipitale particolarmente sviluppato: “Neanche tu. Non sei all’altezza di Dio.”
Un attimo fa ricordavo quella che ero quella notte e la mia indifferenza. Ma ora voglio continuare a raccontare questa storia per dovermi occupare concretamente di questa famiglia.
Il ragazzo si chiuse in camera, lasciando il suo rancore a macerare per tutta la notte. L’ho sentito ruggire chiuso nella sua stanza.Anche i muri hanno orecchie, si sa, e le mie sono sempre state ben tese anche se, devo ammetterlo, oggi non sono più quelle di una volta e le mie vene blu serpeggiano in superficie, come quelle di una mano poco nobile.

Così, chiuso in una corazza d’odio come un guerriero medioevale, il ragazzo perse la capacità di pensare lucidamente.
Per ore lo sentii armeggiare in cantina e tagliare e unire e collegare e ridere e soffrire.
Il suo rancore aveva occupato tutta la casa e l’indomani il Padre ebbe solo il tempo di sollevare l’interruttore –  click  – e poi il boato, il fragore dei vetri e di centinaia di errori che si infrangono sul pavimento. Il passato e il futuro saltarono per aria, lasciandomi al buio come in un finale.

 

Testo: Lisa Biggi
Foto: Iris Viola

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