La notizia della scomparsa del Direttore giunge in ufficio attorno alle 10/10,30.
A un iniziale sgomento collettivo, subentra nel giro di qualche minuto un giubilo dapprima contenuto e, via via, sempre più dirompente.
Cominciamo a scambiarci pacche sulle spalle e calorose strette di mani. Perini si offre di scendere al supermercato sotto l’ufficio per acquistare una bottiglia di spumante, mentre qualcuno ha già attaccato col merengue sul computer.
Togni si prodiga per far partire un trenino di gruppo, senza riscuotere troppo successo.
Mi guardo intorno: abbiamo tutti il nodo della cravatta allentato, lo sguardo tipico dello studente che, una volta arrivato davanti alla sua scuola, scopre che c’è manifestazione e che nessuno dei suoi compagni ha la minima intenzione di entrare.
Giorgetti è seduto sopra la scrivania, lascia penzolare le gambe avanti e indietro.
C’è Magnani che sta raccontando una barzelletta alla segretaria del Direttore. Riguarda una suora, ma ho perso la parte iniziale e quando i due scoppiano a ridere non riesco ad afferrare lo snodo umoristico della faccenda.
Per la cronaca: è la prima volta in assoluto che vedo ridere Magnani.
In fondo alla sala noto il portiere del condominio, sopraggiunto a causa del baccano. Sembra non afferrare il motivo di tale entusiasmo, tuttavia si lascia trasportare dalla nostra gaiezza e ben presto diventa uno dei nostri.
C’è chi lancia aeroplanini di carta, chi tiene il ritmo del merengue aiutandosi con righelli e matite, chi telefona a casa per raccontare alla famiglia gli ultimi-tragici- avvenimenti.
Accendo una sigaretta. Con la gamba avvicino il cestino della carta straccia. Nel frattempo Perini ha fatto ritorno, e sta distribuendo ai colleghi bicchieri di plastica e salatini.
Bosi improvvisa un discorso ma viene continuamente interrotto dagli interventi beffardi di Magnani, con estremo sollazzo dei presenti.
Brindiamo. Abbiamo coinvolto pure Ahmed, il corriere marocchino che viene a consegnarci gli ordini tutte le settimane. Anche lui appare frastornato: di solito quando passa in ufficio siamo tutti chini sui nostri computer e nessuno lo saluta.
Intorno alle 11,30 sono state fatte circolare altre bottiglie di alcolici e siamo tutti quanti brilli.
Ho spento male una sigaretta e il cestino è tutto bruciacchiato. Per un pelo non ha preso fuoco l’intero ufficio. La D’Ippolito accenna qualche passo di lap dance davanti alla fotocopiatrice e Perini le da una pacca sul culo. Lei si volta e ridacchia, visibilmente ubriaca.
È più o meno in quel momento che Fagis, un omino basso con la chierica, prende uno scanner, lo alza come se fosse un lottatore di wrestling e, dopo averlo fatto roteare da destra verso sinistra, lo scaglia contro il pc di Giorgetti.
Il contabile dell’azienda si inalbera non poco per il gesto sconsiderato di Fagis, tanto che siamo costretti a intervenire in tre per evitare lo scontro fisico.
Faccio un giro.  In sala riunioni Trezzini e un altro tizio di cui non ricordo mai il nome sono impegnati in un gioco piuttosto singolare: sputano su un tavolo, lo inclinano, e poi scommettono su quale dei due scaracchi arriverà per primo sul bordo.
“Vuoi partecipare?”, mi fa il tizio senza nome.
Passo oltre con una sigaretta accesa tra le labbra. L’ufficio del Direttore è l’ultimo in fondo al corridoio. Entro. Non provare alcun tipo di sensazione mi crea un certo sgomento: non c’è dispiacere, non c’è compassione, nemmeno soddisfazione.
Guardo le carte sparpagliate sulla scrivania, gli appunti segnati al volo sui bloc notes, le foto con la moglie e le tre figlie.Il Direttore era un tipo facilmente irritabile, talvolta aggressivo. Una volta mi ha dato dell’incapace, ma io non gli ho mai serbato rancore. Era un uomo mediocre, e nei confronti degli uomini mediocri non ha senso provare odio o disprezzo. Andrebbero soltanto compatiti, gli uomini mediocri, ma evidentemente non riesco a fare nemmeno questo. Mi domando se sono sempre stato così o se ci sono diventato.
Medito affacciato alla finestra. La sigaretta si consuma fino a farmi percepire il suo calore sulle dita. La spengo sul muro e faccio per tornare dagli altri.
È quello squittire sommesso che mi blocca. Una sorta di ih ih ih acuto che proviene da sotto la scrivania. Mi abbasso e trovo la segretaria del Direttore in lacrime.
Una donna sui trenta, piuttosto affascinante, di quelle sempre ordinate e inappuntabili, per cui provi una spiccata attrazione fisica pur non riuscendotela a immaginare impegnata nel rozzo atto dell’accoppiamento. Adesso siede sul pavimento scomposta, la camicetta fuori dai pantaloni. Ha il singhiozzo. Fino a dieci minuti prima l’avevo vista cinguettare vanesia con uno stagista arrivato da un paio di settimane.
“Poveretto –  singhiozza – poveretto…in fondo non era un cattiva persona. Poveretto…”
Non mi lascio intenerire dall’ubriachezza della segretaria, voglio tornare nella mischia. Infatti stanno circolando gli ultimissimi fondi di bottiglia e non voglio perdermi Magnani che, assistito da Ahmed, prova a intonare una canzone tradizionale marocchina.
Lo spettacolo si rivela piuttosto deprimente, pur non arrivando ai livelli della gara di karoke che scatta subito dopo. Il punto più basso lo raggiunge senza dubbio Ponti, il grafico balbuziente, che si lancia in una serenata a dir poco imbarazzante in onore della D’Ippolito. Perini, colto forse da un raptus di gelosia, comincia a urlare improperi e a lanciare cartacce all’indirizzo del poveretto, seguito a ruota da Magnani e da altri colleghi.
La situazione degenera e Ponti è costretto a interrompere la sua performance per rifugiarsi dietro a un tavolo. Qualcuno ha iniziato a tirare anche matite, gomme da cancellare, e persino un fermacarte.
Vola di tutto e in tutte le direzioni, non esiste più un bersaglio definito. Una pinzatrice è finita contro la riproduzione di Van Gogh e ne ha mandato in frantumi la cornice.

Andiamo avanti così fin quasi all’ora di pranzo, quando Bosi, controllando la sua casella di posta elettronica, trova una mail inviata dall’azienda madre. Il messaggio informa che, a causa della prematura e triste scomparsa del Direttore della filiale numero 53/b, il personale è autorizzato a lasciare l’ufficio anzitempo. Durante il fine settimana i vertici si esprimeranno circa la nomina del nuovo direttore, in modo da riportare l’attività lavorativa al suo regolare svolgimento entro lunedì.
Nel giro di pochi minuti l’ufficio inizia a svuotarsi. Ci dirigiamo a piccoli gruppi verso la fermata della metro, la stazione dei treni o uno dei numerosi parcheggi sotterranei della zona. Si ride e si sghignazza ancora, seppur in modo più affettato.
Un altro weekend, l’ennesimo, è in vista. Potremo disattivare la sveglia per due giorni e guardare le partite di Serie A. Lunedì si torna in ufficio.

Testo: Martin Hofer
Immagine: Sara Flori

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